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Enrico Letta, affari con la Cina? Agli Usa non piacciono: a quale poltrona dice addio il segretario del Pd

Fausto Carioti
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C'è un guaio ulteriore, in questa storia degli incarichi ricoperti da Enrico Letta tra il 23 luglio del 2015, quando finì il suo mandato di deputato, e lo scorso 14 marzo, quando è rientrato nella politica italiana come segretario del Pd. Non riguarda la legittimità delle sue azioni, ma le sue ambizioni. Perché tra gli obiettivi personali di Letta c'è il posto di segretario generale della Nato, e il vero problema portato a galla dall'inchiesta del quotidiano Domani si chiama Cina.

Può un personaggio che è stato dirigente di un gruppo vicino al regime cinese assumere la guida politica dell'Alleanza atlantica? La risposta sarebbe probabilmente «no» in ogni tempo, ma a maggior ragione lo è in questo. Nel quale il presidente statunitense Joe Biden è impegnato, come prima cosa, a impedire che l'Europa si faccia ammaliare economicamente dalla Cina e ceda alle lusinghe del programma chiamato Via della Seta, che visto da Washington (ma pure da Pechino) è soprattutto un mezzo per allungare gli artigli del Dragone sul vecchio continente. Un progetto portato avanti con una forte campagna di "relazioni istituzionali", o se si preferisce di lobbying, che la Cina vuole condurre anche mettendo a libro paga esponenti politici di alto livello, meglio se dal profilo irreprensibile e socialmente impegnato.

 

 

 

Non un'esclusiva cinese, s' intende: pure la Russia, l'Iran e altri regimi, tramite le loro società di Stato, ricorrono a simili consulenze. La Cina, però, è quella che ci investe di più, perché dispone di mezzi infinitamente più grandie ha mire da superpotenza. Letta, infatti, è in ottima compagnia. Nel suo caso, il rapporto si è creato tramite il gruppo ToJoy, che si presenta come una sorta di "piattaforma" impegnata a investire in nuove imprese, oltre che a promuovere l'amicizia tra Europa e Cina. A partire dall'8 agosto 2019, l'attuale segretario del Pd è stato co-presidente di ToJoy Western Europe, assieme all'ex cancelliere austriaco Werner Faymann, pure lui progressista. La mancanza di trasparenza impedisce di sapere chi siano gli azionisti ufficiali della compagnia, ma poco importa in un Paese in cui ogni impresa, direttamente o indirettamente, appartiene allo Stato.

Dell'uomo che l'ha fondata, Lu Junqing, non si sa granché: sul sito del gruppo è presentato come un uomo che «ha trascorso 10 anni nel governo», e ciò non stupisce, «e 27 anni nel mondo degli affari», tra i cui meriti figura quello di avere «incontrato più di cinquanta leader mondiali», oltre che essere «un noto filantropo internazionale». Un'immagine lo ritrae estatico accanto a Letta, il quale ostenta invece un sorriso stiracchiato. Soldi di certo meritati, quelli che Letta ha incassato in questo modo (l'ufficio stampa del Pd si è limitato a far sapere che in quel periodo ha svolto «diverse esperienze come advisor, talune a titolo gratuito, altre remunerate», evitando di fornire cifre e dettagli). Guadagni che però, ora, potrebbero costargli caro. Il mandato dell'ex primo ministro norvegese Jens Stoltenberg come segretario generale della Nato scade nel settembre 2022.

 

 

Prima di lui c'era stato il danese Anders Fogh Rasmussen, un altro nordico, e anche per questo c'è molta fiducia che il prossimo sia un italiano, sempre che si trovi un curriculum all'altezza. Quello di Letta pareva perfetto (senza dubbio meglio di quello di Federica Mogherini, ex alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, altra pretendente). Sogni quirinalizi a parte, per il segretario del Pd era l'approdo ideale. Ma ora il suo rapporto con il grande nemico degli Stati Uniti rimette tutto in discussione e rialza le quotazioni degli altri candidati. Incluse quelle della conservatrice inglese Theresa May e di Matteo Renzi, che con Barack Obama, mentore di Biden, ha mantenuto un ottimo rapporto. Chissà se Enrico sta sereno. 

 

 

 

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