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M5s, perché dal compromesso tra Grillo e Conte ci guadagna solo Mario Draghi

Alessandro Giuli
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Per Giuseppe Conte quella di ieri doveva essere un'assemblea splatter, è finita invece a tarallucci e Grillo. Nel senso che Beppe e l'avvocato di Volturara hanno preceduto l'appuntamento (previsto in remoto) con i loro parlamentari in assetto di guerra - scolapasta in testa e fazioni pronte alla battaglia tra fondatore e aspirante rifondatore - e hanno diramato un comunicato zuccheroso di questo tenore: «Beppe Grillo e Giuseppe Conte hanno definito concordemente la nuova struttura di regole del M5S... Determinante è stato il contributo scaturito dal lavoro dei sette che Grillo e Conte ringraziano. Una chiara e legittimata leadership del Movimento 5 Stelle costituisce elemento essenziale di stabilità e di tenuta democratica del Paese. 

 

Grillo e Conte si sentiranno ancora nei prossimi giorni per definire insieme gli ultimi dettagli e dare avvio alle procedure d'indizione delle votazioni». Una supercazzola, insomma, per dirci un paio di cose o poco più. Anzitutto che la leadership di Conte è «chiara», sì, ma pure «legittimata» dall'Elevato in persona il quale rimane il solo motore immobile del Movimento in grado di delegittimarla. Le votazioni che seguiranno restano nella sostanza appena più credibili delle vecchie consultazioni su Rousseau, la mera ratifica di un editto verticistico concepito non più secondo finta la logica del "uno vale uno", finalmente archiviata, ma in omaggio alla nouvelle vague sancita ieri: "Due valgono uno". Ovvero non apparirà alcun Re Sole pugliese sull'orizzonte nuvoloso di Bibbona, nessuno statuto seicentesco (parole di Grillo) in vista, piuttosto una reciproca devoluzione di sovranità dalla quale risulterà la somma di altrettante debolezze. È come rompere a metà uno scettro, lasciando all'ex premier la parte più lunga del bastone ma non abbastanza lunga per avere la sospirata libertà di trasformare il Movimento nel suo movimento a dispetto di un garante che perdurerà nel proprio ruolo di destabilizzatore potenziale. 

 

Oltretutto Conte, in tale vicenda, si vede costretto a cestinare o per lo meno a rinviare il progetto di un partito personale che il suo consigliere Rocco Casalino stava predisponendo da almeno un anno. D'altra parte Grillo deve aver sfogliato qualche sondaggio agghiacciante, fra quelli che posizionano la lista Con-Te a ridosso se non al di sopra del M5S. Risultato: uno stallo travestito da accordo, nel cui perimetro gli attori protagonisti dovranno comunque affrontare le questioni più dirimenti finora al centro del conflitto: non soltanto chi comanda, ma come e sulla base di quale modello preso come riferimento? Una domanda novecentesca di fronte alla quale i grillini oppongono il contegno che meglio sanno assumere: la dissimulazione. 

Una volta stabilito che frai due contendenti nessuno dei due può gridare vittoria e anzi rischiano di elidersi a vicenda; e aggiunto poi che neppure il terzo incomodo Luigi Di Maio si sente più così sicuro della propria posizione rispetto ai gruppi parlamentari prevalentemente contiani, rimane evidente che il titolare della Farnesina ha da guadagnare nella circostanza prodottasi. Intanto perché non deve schierarsi in via definitiva con Grillo o con Conte, e poi perché la sua special relationship con il premier Mario Draghi potrà essere consolidata all'ombra dell'armistizio interno ai pentastellati. L'enfasi con la quale il ministro degli Esteri ieri commentava l'accaduto, o meglio il non accaduto, ha del tenero perfino: «Abbiamo sempre creduto nel dialogo e nella mediazione invece che nello scontro e nella polemica... Grazie ai sei amici con cui abbiamo lavorato per raggiungere questo obiettivo». 

I sei amici sarebbero gli altri esponenti dell'apparato grillino con cui Di Maio ha composto il gruppo dei "sette saggi" (espressione che in bocca pentastellata fa un po' ridere) chiamati a mediare fra le due parti. Sicché Luigi ringrazia un po' anche se stesso e la sua fortuna che, bisogna ammetterlo, non appare affatto micragnosa con lui. Se c'è qualcuno che può dirsi meno insoddisfatto, pur essendo distante anni luce, è sempre lui: Draghi. Vale la pena di sottolinearlo ancora: il presidente del Consiglio ha bisogno di stabilità e non teme tanto che i Cinque stelle si ritirino dalla maggioranza nel semestre bianco, quanto di non avere un interlocutore capace di mantenere una posizione coerente e condivisa per più di ventiquattr' ore. Tarallucci e Grillo anche per lui.

 

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