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Vittorio Feltri, la confessione sugli ultimi giorni di Oriana Fallaci: "Voleva parlarmi con urgenza, ma il giorno dopo era morta"

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Quest' anno, il 15 settembre, si celebra la morte di Oriana Fallaci, avvenuta tre lustri orsono. Superfluo dire quanto ci manchi la meravigliosa giornalista e scrittrice. La sua produzione letteraria è nota e ha lasciato il segno non solo nel nostro Paese, ma in tutto il mondo. Proprio negli ultimi giorni è uscito un volume edito da Giulio Perrone, titolo: A Firenze con Oriana Fallaci, vergato da Riccardo Nencini, un signore che sa tenere la penna in mano, come dimostrano i numerosi premi che si è meritato nel corso di una lunga e brillante carriera nel nostro mestieraccio.

Si tratta di un ricordo particolare, ambientato nel capoluogo toscano, dove Oriana nacque e divenne adulta. Il volume ha il pregio di non essere banale, racconta del legame strettissimo della fenomenale narratrice con la sua città, dalla quale, pur avendo vissuto un'eternità a New York, non si è mai slegata, al punto che quando il cancro l'aveva divorata, volle lasciare gli Usa e tornare a Firenze per morire, come lei diceva, nei luoghi in cui aveva visto la luce e imparato alla perfezione la lingua di Dante. In quei giorni per lei finali, mi telefonò chiedendomi di procurarle una casa a Milano, che non fosse una camera d'albergo (non desiderava mostrarsi in pubblico nel pieno della malattia), allo scopo di discutere con la Rizzoli i diritti d'autore che le spettavano.

 

 

Non sapevo come aiutarla e le offrii il mio appartamento in piazza Duse. Volle visitarlo per constatare se facesse al caso suo. Le piacque, ma non sopportava il fatto che per accedere alla cucina fosse necesario scendere un gradino. Pertanto si comprò un nastro bianco e rosso, di quelli che delimitano i lavori in corso sulle strade, lo legò a due sedie in maniera di essere avvertita dello sbalzo. Rifiutò l'assistenza della mia cameriera. Pretendeva di godersi la solitudine. Nessuno tra i piedi. Mi trasferii in una mansarda dello stesso edificio, ma ogni giorno andavo a trovarla.

Seduti sul divano chiacchieravamo, Oriana fumava una sigaretta dopo l'altra. Seppe che al piano di sopra abitava la signora Trussardi, proprietaria della omonima azienda di moda, e manifestò l'aspirazione di poterla conoscere perché da anni usava il suo profumo, portandoselo perfino nei deserti del Medioriente. Combinai un pranzo. Al quale accompagnai la Fallaci onde procedere alla presentazione delle due dame. Oriana indossava un abito elegantissimo, era una persona elegante e rispettosa delle forme. Come al solito mangiò due bocconi e basta, e conversò amabilmente con la ospite.

 

 

 

Terminato il pasto mi chiese di accompagnarla in una salumeria in via Salvini, comprò due cose e si rifugiò di nuovo nel mio quartierino. Un paio di giorni dopo decise di trasferirsi a Firenze per morire. Le procurai un'auto che la conducesse a destinazione. Trascorre una settimana e fui ricoverato al Fatebenefratelli a causa di una prostatite acuta. Non potei parlarle più. Cosicché telefonò a mia moglie, che la conosceva, e le disse che aveva urgente bisogno di conferire con me. Non ho mai saputo perché in quanto Oriana l'indomani spirò. Anche se me lo aspettavo, l'evento mi fece venire un colpo al cuore. Fine di una amicizia profonda, fine di una donna meravigliosa. L'anno successivo a Rimini si svolse il Meeting di Comunione e liberazione. Ero tra i partecipanti, incaricato di conversare della scrittrice scomparsa. Un altro relatore era Rino Fisichella, un arcivescovo che accompagnò all'altro mondo la principessa della letteratura. Al termine del dibattito, il prelato mi consegnò una busta di plastica dicendo che gliela affidò Oriana per recapitarmela. La aprii, conteneva un bicchierino e un cucchiaio. Le erano serviti per lenire il dolore del tumore durante il viaggio da Milano a Firenze. Sentiva il bisogno di restituirmi quegli oggetti che aveva prelevato dalla mia dimora senza avere l'opportunità di avvertirmi. Ecco questa è la mia Oriana, la creatura migliore che ho incontrato. Il libro di Riccardo Nencini.

 

 

 

 

 

 

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