Matteo Renzi apre al centrodestra: "Tratto sul Colle". Retroscena-Senaldi: ecco la maggioranza per sconfiggere il Pd
L'ultima birichinata di Renzi ha fatto tremare le gambe al Pd. L'ex segretario della baracca si sta industriando in ogni modo per fare pagare un prezzo salato agli onorevoli che lui stesso ha portato in Parlamento, nel 2018, e che l'hanno contraccambiato insediando al suo posto proprio Enrico Letta, l'acerrimo nemico del fu leader fiorentino, che non si è mai rassegnato a stare sereno. Ieri, dopo aver terremotato la maggioranza sulla legge Zan, Matteo se ne è uscito con una frase da brivido: «Per eleggere il prossimo presidente della Repubblica, bisogna passare anche per il centrodestra, che rappresenta il 45% del Parlamento». Ragionamento ineccepibile, ma inaccettabile per i dem, che ritengono il Quirinale proprietà privata.
Da trent' anni al Colle siede un esponente del Pd, per tessera o sentimento, e la sola idea che qualcosa possa cambiare, anche in nome di una banale logica dell'alternanza democratica, getta nel panico Letta e compagni. Renzi lo sa, e gioca con i suoi (ex) eletti come il gatto con il topo. La legge Zan è il banco di prova di una maggioranza alternativa a quella giallorossa, di centrodestra, che oggi potrebbe far saltare la norma anti-omofobia e domani eleggere il sostituto di Mattarella. I numeri ci sarebbero. Da due anni il leghista Giorgetti va dicendo che a questo giro i dem perderanno il pallino, complice lo sfarinamento dei grillini, gregge di pecore matte condannate al macello e pertanto ingovernabili. Potrebbe essere l'ora del centrodestra. Tutto sta a essere uniti, fidarsi l'uno dell'altro, per una volta, e avere una strategia precisa, un nome condiviso e da tenere coperto fino all'ultimo.
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La posizione del Pd è chiara: consapevoli di non avere la forza per portare fino in fondo un loro candidato, anche perché ce ne sono troppi in lizza tra loro, i dem puntano sull'incapacità del centrodestra di organizzarsi, accordarsi con Renzi e assicurarsi l'appoggio di una trentina di Cinquestelle senza patria. A quel punto, in caso di impasse, partirebbe la delegazione al Quirinale: tutti in ginocchio per supplicare Mattarella di restare, mostrando di farlo controvoglia. Il centrodestra verrebbe tacitato con la rassicurazione che trattasi di soluzione d'emergenza, per garantire la fine della legislatura con Draghi a Palazzo Chigi e che, dopo le elezioni del 2023, si riapriranno i giochi, magari con Salvini e Meloni maggioranza parlamentare e quindi con la forza di nominare un nome di loro gradimento.
Alla data fatidica però, Mattarella resterebbe dov' è, legittimamente, e il Pd continuerebbe ad avere il suo santo sul Colle. Le alternative a questo scenario sono due. La prima è l'indicazione di Draghi da parte del centrodestra, nome che il Pd non può respingere a meno di non far cadere il governo, perché non si può sostenere a Palazzo Chigi uno che si boccia per il Quirinale. L'ex governatore però è profilo super partes, per il centrodestra equivarrebbe a mettere la palla in calcio d'angolo, la sua nomina rappresenterebbe un pericolo sventato, non un punto segnato. Lo scenario per Salvini e soci ha l'unico vantaggio di essere compatibile con un governo di transizione, retto da un tecnico di fiducia di SuperMario, che potrebbe, dopo le elezioni del 2023, svolgere per il centrodestra divenuto maggioranza il ruolo di garante che Conte ha ricoperto prima per i gialloverdi e poi per i giallorossi.
La seconda alternativa prevede che la stessa maggioranza che ha impiegato sei mesi per mettersi d'accordo sul candidato sindaco di Milano sia in grado miracolosamente di accordarsi su un nome da tenere coperto fino al momento opportuno, e poi di votarlo compatta. Nel frattempo essa dovrebbe anche essere riuscita ad assicurarsi l'appoggio, non gratuito, dei renziani e di una fetta di grillini senza arte né parte. Per la riuscita dell'operazione serve un fine tessitore, che però a quel punto si sarebbe guadagnato la presidenza come nessuno dei suoi predecessori.
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