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Senato, via libera al voto dei 18enni? Ora ci ritroviamo con due camere identiche: ecco l'unica soluzione

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Giuseppe Valditara
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Il voto ai diciottenni, cioè a coloro che hanno la maggiore età, per la elezione dei senatori va nella direzione di una democrazia più compiuta. Non è casuale l'ampia maggioranza trasversale che ha sostenuto le varie proposte parlamentari poi unificate in un unico testo di riforma costituzionale. Ovviamente ben diversa portata avrebbe estendere il voto ai sedicenni, che non sono maggiorenni: sarebbe assai curioso che chi non è ritenuto in grado di curare adeguatamente i propri interessi, possa curare quelli della res publica. Si pone tuttavia adesso con ancor maggior pregnanza il tema del significato di un bicameralismo perfetto che perde gran parte della sua ragion d'essere. È invero di tutta evidenza, alla luce dell'attuale sistema elettorale, sostanzialmente identico fra Camera e Senato, che non ha più una portata concreta nemmeno la prescrizione dell'art. 57 della Costituzione che prevede una base regionale per la elezione del Senato. In questo contesto si creeranno due assemblee sostanzialmente identiche nella composizione. Il superamento del bicameralismo perfetto era già stato contemplato dalla riforma costituzionale varata dalla maggioranza di centrodestra nel 2006, la cosiddetta Devolution, ed era stata ripresa nella riforma Renzi della Costituzione. In entrambi i casi, rispettivamente il voto di sfiducia e il voto di fiducia coinvolgevano esclusivamente la Camera e non più il Senato.

 

 

UN'ALTRA EPOCA
Il bicameralismo perfetto risente di un'epoca storica in cui si intendeva privilegiare la ponderatezza delle decisioni rispetto alla loro celerità. Rispecchia un'epoca in cui le proposte di legge discusse in Parlamento erano sensibilmente meno di oggi, ed in cui la società e l'economia risentivano di equilibri più consolidati. Una delle motivazioni addotte per sostenere la riduzione di deputati e senatori è stata non casualmente anche la necessità di un dibatitto parlamentare più spedito. Ci si deve chiedere se sia opportuno arrivare a preservare una sola Camera. Nel mondo Parlamenti monocamerali, a parte il Regno Unito, dove la Camera dei Lord ha visto ridursi nel corso del tempo la quasi totalità delle sue prerogative, esistono soltanto in Paesi piccoli come per esempio Norvegia, Danimarca, Israele, Grecia, Nuova Zelanda, Liechtenstein, ovvero in Paesi con una storia democratica relativamente recente come Ucraina, Corea del Sud o Bangladesh, ovvero ancora in Paesi dittatoriali come la Cina. La particolare articolazione della società italiana legittima la persistenza, ancorché ripensata, di un bicameralismo. Se dunque è necessario rilanciare la questione di una riforma del ruolo di Camera e Senato, non appare opportuno limitarsi a prospettare una diversa base elettorale per dare una maggiore rappresentanza ai territori. Si replicherebbero qui ad altro titolo i problemi delle competenze concorrenti fra Stato e regioni, con il rischio di una accentuata difficoltà a formare maggioranze coese.

 

 

LA GERMANIA
Appare piuttosto utile una riforma che distingua le competenze fra Camera e Senato. Sul punto una sintesi potrebbe facilmente raggiungersi posto che, ancorché in forme diverse, questa prospettiva accomunava la riforma del 2006 del Centrodestra e quella del 2016 del Partito Democratico. Si potrebbe per esempio immaginare, anche rivitalizzando la base elettorale regionale prevista dall'art. 57 per il Senato, che questa assemblea, sul modello del Bundesrat tedesco, conservi competenze legislative per tutte quelle materie di interesse regionale e per quelle materie di attuazione della legislazione europea che coinvolgono sempre più da vicino i territori, così che possa esserci un luogo di conciliazione e di sintesi degli interessi centrali e locali. La legislazione "nazionale", così come la fiducia al Governo dovrebbero invece spettare certamente alla sola Camera dei deputati. In questo nuovo contesto ben si inserirebbero basi elettorali differenti fra i due rami del Parlamento, così da favorire un dialogo ampio e potenzialmente bipartisan in settori che dovrebbero essere meno soggetti allo scontro politico e più legati alle concrete dinamiche dello sviluppo dei territori.

 

 

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