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Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia, chiedono a loro di cacciare i violenti ma non alla sinistra

Filippo Facci
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 Se davvero non è fascista, Giorgia Meloni dovrebbe far picchiare i fascisti. Scusate la sintesi, ma tutto nasce da un incattivito professor Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera) che nell'ultima settimana ha analizzato il rapporto tra populismo e partiti di destra: e che, dopo le repliche separate di Matteo Salvini e Giorgia Meloni (sempre sul Corriere), se l'è un po' presa con questi «politici italiani» che di fronte alle critiche «si sentono obbligati a rispondere». Forse non dovevano farlo, a suo dire: Salvini l'ha fatto «dilungandosi in minuziosi quanto grotteschi elogi del proprio operato», la Meloni invece «arrampicandosi sugli specchi e manipolando o nascondendo la realtà». Tutto può essere, professore: ma non ci sogniamo minimamente, ora, di relazionare circa le posizioni di due politici su argomenti che Galli della Loggia pone su un piano molto storiografico: francamente, ecco. Però, a fronte di una Meloni che ancora ripete di «non aver bisogno di esami del sangue», e secondo la quale nel 1995 le «tesi di Fiuggi» già condannarono le alleanze dell'Italia mussoliniana, c'è un'obiezione fatta del professore che quella sì, c'interessa molto. Scrive, infatti: «Per smentire il passato non servono le parole. Servono solo i fatti». E qui Galli della Loggia ha spiegato che nel Pci degli anni Sessanta, che lui peraltro votava, il partito doveva fronteggiare i gruppi di extraparlamentari che durante le manifestazioni cercavano di impadronirsi della piazza e di darle un'impronta: ebbene, al servizio d'ordine veniva detto «di allontanarli» e in sostanza «di menarli», operazione ripetuta pure «con il terrorismo», e, nell'ambiguità di quegli anni - osserviamo noi - col serio rischio che a prender botte sia stato anche qualche amico del professore.

 

 

SELEZIONE
Insomma, tornando all'oggi, e rivolto alla Meloni: «Basterebbe che al prossimo comizio», ha scritto, «lei preghi qualche decina di suoi giovani iscritti di tenersi pronti, e appena arrivano quelli di Forza Nuova odi CasaPound li mandino via». Insomma: botte. Se le darebbero tra loro, quindi il problema dei picchiatori fascisti sarebbe relativo. Benché molto sofisticata, è una tesi interessante e distensiva: probabilmente Giorgia Meloni non vedeva l'ora che il professore l'autorizzasse in questa direzione. Più in generale, c'è un intero sistema politico e sociale, deprivato di tensioni e di problemi, che non vedeva l'ora di accogliere soluzioni di questo tipo: ossia, in concreto, fare selezione ideologica ai varchi di una manifestazione pubblica (cosa facilissima, notoriamente) e autorizzare qualche palestrato a esercitazioni supplettive, benché leggermente deprecate dalla legge penale.

 

 

TETTI RETRIBUTIVI
L'idea è talmente buona - osserviamo - che per un maggiore equilibrio andrebbe estesa all'altro piatto della bilancia: la sinistra e tutte le cellule eversive, para-eversive, vetero e para maoiste, marxiste-leniniste, trotsikiste, No Tav e No Vax (già che ci siamo) oltre a un'altra ventina di movimenti rivoluzionari (da Bandiera Rossa a Unità Proletaria per il Comunismo) che si sommerebbero al Fai (Federazione anarchica informale) oltreché ai noti moderati dei più vari centri sociali (tipo Askatasuna) più ancora altri simpaticoni che durante le manifestazioni cercano parimenti di impadronirsi della piazza e di darle un'impronta di sinistra non troppo riformista: perciò una sinistra moderata, riformatrice e riformista, non può che menarli tutti. Per smentire il passato non servono le parole, servono solo i fatti, giusto? Mica la Bolognina del 1989, il veltronismo e le tardive riabilitazioni craxiane. A meno che Galli della Loggia non ritenga che dal comunismo e dal socialismo reale non si debba prendere le distanze, e che l'Italia abbia specificamente e prettamente un problema di fascismo (Casapound 0,9 alle politiche, Forza Nuova 0,37) e che da questo siano tormentate le genti: dai mancati autodafé di Giorgia Meloni, nata a Roma il 15 gennaio 1977. Tre anni dopo, nel 1980, Ernesto Galli della Loggia scriveva ancora: «Non si può che suggerire alcune linee di marcia, penso innanzitutto all'eguaglianza retributiva tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, all'istituzione di tetti retributivi, di limiti assai ristretti al diritto di successione».

 

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