Beppe Grillo, se il M5s è stufo lo licenzi: le follie del comico e i troppi silenzi, mandatelo via
Se un comico va dall’ambasciatore cinese e difende sul proprio sito il regime di Pechino dalle «élite economiche occidentali», che male fa? Il governo non ne risente, lo stesso M5S è un’altra cosa, indipendente da Beppe Grillo. È questo, ora, il tentativo: minimizzare per proseguire nell’equivoco. Rappresentato dalla presenza, nel governo filoatlantico di Mario Draghi, di un partito che dall’inizio della legislatura, anche tramite il ministro degli Esteri, promuove gli interessi della Cina, raccontando che coincidono coi nostri. Obiettivo condiviso da altri esponenti politici, tutti appartenenti alla sinistra.
Non conviene pure a Draghi, in fondo, volgersi altrove anziché fare l'esame del sangue all'alleanza che lo sostiene? Forse no, se vuole governare rispettando gli impegni internazionali presi. Perché in questa storia c'è qualcosa di non detto che è enorme. Ed inizia proprio con Grillo. C'era un leader politico che accusava l'Europa di avere «svenduto il posto di lavoro di 3,5 milioni di suoi cittadini» sottoscrivendo l'apertura commerciale alla Cina, che avrebbe avuto «conseguenze catastrofiche». Diceva che «politici, imprenditori, ecc. non vogliono vedere la capacità di influenza che la Cina sta acquistando insieme alle nostre società». I suoi parlamentari lo seguivano. Gli eletti a Strasburgo si mobilitavano, convinti che «se venisse riconosciuto lo status di economia di mercato alla Cina, si farà tabula rasa delle piccole e medie imprese italiane». Quel leader era Grillo. È andata avanti così sino all'arrivo dei Cinque Stelle al potere e di Luigi Di Maio alla Farnesina. Da quel momento, per loro la Cina è diventata il migliore alleato dell'Italia. Senza alcuna spiegazione pubblica. Le uniche discussioni sono avvenute in privato, tra Grillo, l'ambasciatore cinese a Roma e Di Maio. In che modo il governo di Pechino gli ha fatto cambiare idea? Quali argomenti ha usato il suo rappresentante? Quali interessi legano Grillo e i grilli ni alla Cina?
Legano: bisogna usare il presente. Con Draghi nulla è cambiato, e non solo perché Grillo continua a recarsi in pellegrinaggio nella sede diplomatica cinese, e una settimana fa, se non fosse avvenuto il finimondo, ci avrebbe portato pure Giuseppe Conte. C'è altro, e lo conferma il documento, pubblicato dalla testata Formiche, al quale gli uffici di Di Maio stanno lavorando in vista dell'incontro bilaterale tra Draghi e il primo ministro cinese Li Keqiang. Il testo, che porta avanti l'accordo di adesione al programma "Via della Seta" siglato dallo stesso ministro degli Esteri nel 2019, prevede che i due Paesi si impegnino a «dare priorità alla cooperazione nei seguenti settori: economia, commercio ed investimenti, finanza, connettività e cooperazione nei mercati terzi, ambiente e sviluppo sostenibile, salute e medicina, scienza e tecnologia, aerospazio, scambi culturali e sport».
Un lunghissimo elenco, nel quale appaiono settori che Draghi e gli altri leader occidentali, al G7, si sono im pegnati a tenere lontani dagli artigli del Dragone. E sarebbe ingeneroso non riconoscere il contributo che alla stessa causa stanno dando compagni come Massimo D'Alema, candidato con Leu alle elezioni del 2018. Intervistato dagli organi di stampa di Pechino, elogia lo «straordinario salto verso la modernità e il progresso» compiuto dalla Cina per «grande merito storico del Partito comunista». O Oliviero Diliberto, il quale insegna Diritto ai cinesi e spiega emozionato all'Huffington Post che «lì non c'è la democrazia occidentale, c'è un'altra forma di democrazia che è il potere del popolo». È anche così, con questi rapporti, che la rete di potere di Xi Jinping raggiunge le istituzioni italiane.
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A questi sponsor dichiarati fa da sponda l'omertà politica di Enrico Letta. Dopo aver detto per settimane che la linea di Matteo Salvini non era quella del governo, e dunque la Lega doveva uscire dall'esecutivo, il segretario del Pd da un po' di tempo non torna sull'argomento: ha capito che ad essere clamorosamente fuori linea sono i suoi alleati filo -cinesi. I quali indeboliscono Draghi proprio mentre, assieme agli altri leader occidentali, sottoscrive la richiesta di aprire le porte del laboratorio militare di Wuhan, dove ora si è scoperto che i pipistrelli c'erano (e ciò demolisce ulteriormente la versione data dalle autorità). Le spine nel fianco di Draghi sono loro, i portatori della sindrome politica cinese. E loro, non la Lega, sono quelli che dovrebbero cambiare subito linea o lasciare il governo.
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