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Giorgia Meloni, le ragioni del "no" al gruppo unico in Europa: il sospetto sulla trappola leghista e sulle mire di Salvini

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Chi traccia la rotta del centrodestra futuro? L'asse tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi finirà per "tagliare via" Giorgia Meloni e lasciarla arroccata sulla difensiva, come ha scritto ieri Libero, mentre Lega e Forza Italia governano con Mario Draghi e si preparano a giocare assieme la partita dell'anno prossimo per il Quirinale? Dal quartier generale di Fratelli d'Italia traspare una calma rasserenante ma vigile: «Ben lungi dall'essere preoccupati», ci dice Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera, «non riteniamo credibili voci che suggeriscono una volontà di disgregazione del centrodestra. Per due ragioni essenziali. La prima è che con l'attuale legge elettorale un centrodestra diviso, sebbene maggioritario in Italia, risulterebbe perdente; la seconda è che con qualsiasi modifica del sistema di voto, senza unità, la coalizione sarebbe comunque marginale». Circa il patto tra Salvini e Berlusconi, nessuno stupore ma un severo realismo: «Consideriamo normale che esista un coordinamento tra Forza Italia e Lega; il loro, come forze di maggioranza, è un tentativo di mettere in piedi un argine all'evidente strapotere della sinistra di governo che finora ha egemonizzato quasi tutti i provvedimenti dell'esecutivo presieduto da Draghi». Un modo per sottolineare che non è Giorgia a giocare di rimessa, sorretta com' è dalle correnti ascensionali dei sondaggi e da una centralità pubblica suggellata dal successo popolare del suo libro appena uscito e da un buon rapporto personale con l'inquilino di Palazzo Chigi destinato - pare - al Quirinale.

 

 

CONSENSI E OSCILLAZIONI
In FdI, piuttosto, ci s'interroga su un processo di destrutturazione legato alle oscillazioni della salute berlusconiana: sarebbero alcuni soggetti interni al cerchio magico del Cavaliere ad accreditarsi come il trait d'union con la Lega in vista di un superamento di Forza Italia. Una tentazione che serpeggiò anche dentro il giovane partito della Meloni, quando le percentuali sembravano inchiodarlo a un ruolo residuale, ma che fu accantonata in nome di una precisa coerenza valoriale. Un esperimento unitario di centrodestra peraltro è già esistito, il Pdl, ma aveva la qualità di essere un partito di massa moderato con a capo un leader di massa moderato; ciò che difficilmente potrebbe ripetersi con una FI post berlusconiana annessa alla Lega e rappresentata da Salvini. In quest'ottica, anzi, Giorgia potrebbe perfino guadagnare altro terreno al centro, dove la scommessa di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro è ai primi passi.

Quanto alla sfida europea lanciata ieri dal capo del Carroccio con la proposta di federare in un solo gruppo sovranisti, conservatori e popolari, la riflessione non è dissimile: più che una sortita in avanscoperta, si tratterebbe di un inseguimento. Giorgia in Europa è bene accreditata: ha sette deputati ma tanto le basta per presiedere il partito dei Conservatori e Riformisti (Ecr) e triangolare con i colleghi inglesi e americani, secondo una logica istituzionale che sta favorendo la prospettiva di una destra non antisistemica. Salvini signoreggia nella famiglia identitaria invisa a Bruxelles e cerca di ribaltare lo schema: forte del suo 34 per cento raggiunto nel 2019, punta a diluire il peso meloniano in un contenitore più ampio. Di qui la freddezza con cui il capodelegazione di Fratelli d'Italia a Strasburgo, Carlo Fidanza, ha commentato la proposta: «È un processo articolato che non si fa con le formule matematiche ma con tanto dialogo e tanta politica. Il gruppo Ecr è esattamente il baricentro di questo processo», ha detto ad Affaritaliani. 

 

 

Pur ribadendo che «Giorgia Meloni è impegnata ogni giorno per allargare la famiglia. A cominciare da chi tra i popolari è stufo della subalternità del Ppe alle sinistre e da chi, alla destra di Ecr, vuole superare un certo velleitarismo antieuropeo per costruire destre di governo alleabili con il centro, in una prospettiva bipolare come quella che abbiamo in Italia». Con Libero, Fidanza è più esplicito: «Bisogna considerare che nel campo dei partiti centristi, patriottici e sovranisti esistono interessi nazionali non sempre sovrapponibili. Prendiamo il caso della Germania: la Cdu di Angela Merkel è in crisi e dovrebbe guardare a destra, dove però l'Alternative für Deutschland (alleata di Salvini nel gruppo Identità e Democrazia, ndr) può rendersi disponibile soltanto dopo un processo di revisione paragonabile alla svolta di Fiuggi fatta da Alleanza nazionale nel 1995. Un sistema maggioritario gioverebbe, naturalmente».

INCOGNITE "STRANIERE"
Sulla proposta salviniana, oltretutto, incombe l'incognita delle elezioni politiche a Parigi e Budapest fissate per l'anno prossimo. Se Marine Le Pen, alleata della Lega, riuscisse a conquistare l'Eliseo - improbabile ma non impossibile - il blocco sovranista trionferebbe e a quel punto una federazione a trazione identitaria sarebbe quasi certa. Diversamente, si aprirebbe un'altra valutazione che riguarderà lo stesso Viktor Orbán, qualora fosse riconfermato premier in Ungheria, il quale ha lasciato il Ppe ma non aderirebbe al progetto di Salvini prima del 2022. In FdI sanno che il leader leghista vuole rientrare nell'arco costituzionale europeo prima delle elezioni continentali del 2024, ma ha bisogno di nuovi alleati. La recente visita di Giorgia a Varsavia, dove ha incontrato il premier polacco Mateusz Morawiecki assieme al leader di Vox, lo spagnolo Santi Abascal, è una buona traccia per decrittare i prossimi movimenti. Fuori e dentro il palcoscenico nazionale.

 

 

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