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Alessandro Sallusti, il retroscena sul centrodestra: "Patto Salvini-Berlusconi, l'asse che taglia fuori la Meloni"

Alessandro Sallusti
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Matteo Salvini ha detto ieri di sentire spesso Silvio Berlusconi «per parlare del futuro», frase sibillina che può dire niente ma anche tanto. In fondo è normale che due leader alleati di coalizione si sentano e si vedano. La novità è che il loro rapporto - riferiscono i ben informati - non è mai stato così intenso, diretto e sincero. Sono finiti i tempi in cui Salvini, alleato di Di Maio e proiettato verso fantastici orizzonti evaporati all'alba, snobbava il Cavaliere e a fatica gli rispondeva al telefono, non prima della terza chiamata.

 

Il Salvini di oggi è politicamente più maturo e tondo. Ha capito che, pur bravo che sia, per governare gli servono alleanze - non mi riferisco solo a quelle elettorali - e così ad Arcore, dove capita più spesso di quanto poi si sappia, non è più un estraneo e neppure un ospite svogliato e sopportato. Il trovato accordo giova a entrambi, soprattutto in "chiave futura", come ammesso ieri dal capo leghista. E nel futuro c'è l'elezione del presidente della Repubblica, scranno che ancora resta nella testa e nel mirino di Silvio Berlusconi (uno specialista di missioni impossibili) ma che, al di là delle aspirazioni personali, in ogni caso questa volta è contendibile dal Centrodestra, dopo anni di presidenti di sinistra.

E poi ci sono le elezioni politiche, un appuntamento cruciale per Salvini che, incalzato ormai da vicino, almeno nei sondaggi, da Giorgia Meloni vede traballare lo scettro di capo indiscusso del Centrodestra. È normale che, quando si è in tre su una stessa barca, la rotta venga decisa da due contro uno. Negli ultimi tre anni l'asse portante della coalizione - per affinità politiche ma anche generazionali - è stato quello tra Salvini e la Meloni, che avevano come obiettivo liberarsi dell'ingombrante e pluriventennale egemonia elettorale di Berlusconi. Missione compiuta, ma ora che i due vincitori si trovano più o meno alla pari, si rischia lo stallo.

 

Se fosse una partita a scacchi diremmo che Giorgia Meloni, forte di un teorico successo elettorale, arrocca in attesa di eventi mentre Salvini muove all'attacco per assicurarsi l'appoggio di Forza Italia nel prosieguo della partita. Difficile dire se questa è la conseguenza oppure la premessa per cui la Lega ha deciso di aderire convintamente, insieme a Berlusconi, al governo europeista di Draghi, se si tratta di farina del sacco di Salvini o se lo spostamento al centro è eterodiretto da Giancarlo Giorgetti. Sta di fatto che da questa partita dagli esiti imprevedibili Giorgia Meloni è esclusa; forse per sua scelta, più probabilmente per volontà degli organizzatori.

 

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