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Alessandro Sallusti sul pentimento del manettaro Luigi Di Maio: belle parole, aspettiamo i fatti

Alessandro Sallusti
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Luigi Di Maio chiede scusa per la gogna mediatica e politica usata fino a ieri dai Cinque Stelle contro i nemici politici. In particolare chiede scusa a Simone Uggetti, l'ex sindaco di Lodi del Pd assolto nei giorni scorsi dopo cinque anni di calvario giudiziario «per non aver commesso il fatto». Ben venga questo ravvedimento sia pure tardivo e non saprei dire quanto sincero. Sulla politica delle manette, dei vaffa, degli insulti e delle liste di proscrizione lui e i suoi compagni di viaggio - nel partito e nei giornali amici - hanno costruito la loro ascesa, calpestato il diritto e rovinato decine di famiglie. 

 

Ora che il loro fallimento è sotto gli occhi di tutti, per meglio accomodarsi al tavolo oggi di Draghi domani chissà, ovvio che debbano innanzitutto cambiare abito e forse anche pelle. Ma non ci si può accontentare di una scusa buttata lì, se l'abbandono del giustizialismo cieco e becero è cosa seria allora alle parole devono seguire i fatti. Primo fra tutti un cambio netto della politica in tema di giustizia, dove i grillini ancora in queste ore stanno facendo le barricate contro una riforma che prova a limitare le barbarie di una magistratura che non vuole rispondere dei propri errori e incapacità. 

 

Perché il caso del sindaco di Lodi non è una eccezione, è esattamente il prototipo di quel "sistema" raccontato da Luca Palamara, cioè l'intreccio perverso tra procuratori smaniosi di protagonismo, partiti politici di riferimento e giornalisti succubi dei magistrati che hanno rinunciato alla ben che minima autonomia. Di Maio ci deve dire chiaramente se dopo le scuse il suo magistrato di riferimento resta Piercamillo Davigo (quello che disse «un innocente è un colpevole che l'ha fatta franca»), se il suo giornalista principe è ancora Marco Travaglio (lo sputasentenze e maestro di linciaggio), se tutto il suo partito, cosa che al momento non appare, lo segue convintamente in questa improvvisa conversione. 

Ecco, se Luigi Di Maio cambia amicizie e detta ascoltato la nuova linea ai suoi allora gli diciamo: benvenuto nella società civile. Se viceversa tutto continuerà come prima non cadremo nel tranello mediatico del "bravo ragazzo" pentito delle marachelle giovanili. Non siamo né a scuola né in famiglia, qui stiamo parlando del governo di un Paese.

 

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