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Joe Biden, le sue mani sull'Italia: quell'anomala rivoluzione in ambasciata, cosa rischiamo

Fausto Carioti
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«È come se Mourinho venisse alla Roma». La battuta gira nella Farnesina, il palazzone della diplomazia italiana a duecento metri dallo stadio Olimpico. Perché l'allenatore portoghese sarà sul serio il prossimo allenatore dei giallorossi. E secondo la Associated Press, agenzia di stampa statunitense molto bene introdotta nella Casa Bianca, il democratico Joe Biden ha davvero intenzione di nominare Jane Hartley ambasciatrice in Italia, per prendere il posto del trumpiano Lewis M. Eisenberg, il cui mandato è terminato a gennaio. 

L'anomalia, perché di questo si tratta, è nel curriculum del personaggio: la 71enne Hartley è un diplomatico di prima fascia che ha lavorato molto nella politica: caratteristiche che i rappresentanti di Washington a Roma raramente posseggono. Di solito sono ricchi imprenditori in pensione, desiderosi di farsi qualche anno in giro per l'Italia: più itinerari enologici e incontri d'affari che politica. La Hartley, invece, appartiene a un'altra categoria. Fu collaboratrice di Jimmy Carter quando "mr Peanut" era presidente. Nel 2014 fu scelta da Barack Obama come ambasciatrice a Parigi, sede "top" dove è stata sino all'insediamento di Donald Trump. 

E ora, secondo la Ap, è candidata numero uno per l'ambasciata di via Veneto. «Una di alto livello. Pure troppo, per Roma», commenta una fonte diplomatica. «È inusuale che chi è stato a Parigi poi venga qui e accetti quella che sembra una diminutio », Decisamente più "normale" sarebbe l'altro nome in ballo: quello di Doug Hickey, uomo d'affari e già capo della delegazione americana all'Expo di Milano. «Di sicuro», spiega chi conosce le dinamiche di Washington, «se viene la Hartley è per fare politica, non la pensionata». E la spiegazione possibile è una sola: Draghi. Se Biden mette il "dossier Roma" così in alto, è perché è convinto che l'Italia sia destinata ad avere un ruolo importante in Europa. 

«E questo, nell'ottica di Washington, potrà avvenire solo se Draghi resterà ai massimi livelli delle istituzioni». A palazzo Chigi, dunque. O, meglio ancora, al Quirinale. Non è un mistero che l'amministrazione democratica nutra perplessità verso Matteo Salvini e abbia scarsa simpatia per Giorgia Meloni: ambedue troppo vicini a Trump, anche se l'adesione a un governo molto amico degli Stati Uniti, come quello attuale, alza un po' le quotazioni del leader della Lega. L'ipotesi che il prossimo esecutivo sia guidato da uno di loro due non entusiasma gli analisti di Washington. 

Molto cambierebbe, però, se sul Colle più alto, a febbraio o dopo un breve prolungamento del mandato di Sergio Mattarella, arrivasse Draghi. Potessero, oltreoceano lo clonerebbero per farne due, e ne metterebbero uno a palazzo Chigi e l'altro al Quirinale. Ma con gli elettori italiani debbono comunque fare i conti, e se governo a trazione sovranista dovrà essere, sarà quello dell'ufficio di Draghi alla presidenza della repubblica il numero che comporranno quando vorranno la garanzia che gli «interessi atlantici» siano tutelati. Con Angela Merkel prossima all'addio, Emmanuel Macron zoppicante e Boris Johnson fuori dalla Ue, oggi la scommessa di Biden pare questa. Si capirà meglio quando il nome del nuovo ambasciatore sarà annunciato.

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