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Funivia Stresa Mottarone, indiscrezioni dalla Procura: "Cosa rischia la banda del forchettone"

Marco Bardesono
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Tutti erano al corrente di quello che stava accadendo alla funivia del Mottarone e «del fatto che il sistema frenante fosse stato manomesso». Sono fatti questi che nel decreto di fermo di Luigi Nerini, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, la procuratrice capo di Verbania, Olimpia Bossi, definisce «di straordinaria gravità, tali da comportare, in caso di condanna, elevatissime sanzioni detentive». E al di là del linguaggio tecnico utilizzato dai magistrati, la volontà della procura sembra essere molto chiara: i responsabili della strage «devono marcire in galera», come del resto hanno sottolineato, nel dolore e nello sconforto, alcuni dei parenti delle vittime che hanno già negato ogni possibilità di perdono. La procura di Verbania è decisa a perseguire colpe e responsabilità e, nel decreto, si spinge, fatto inconsueto, ad auspicare, nel caso di condanna in giudizio, pene esemplari.

I «tre della funivia» rischiano, sempre che le imputazioni restino quelle di «disastro colposo e omicidio plurimo», di trascorrere 10 anni nelle patrie galere, pur con inevitabili distinguo, nel caso si affievolisse la gravità penale degli uni rispetto agli altri. Ad ogni buon conto, la pena minima prevista dal codice, è di tre anni di carcerazione. Gabriele Tadini, il tecnico, il caposervizio che gestiva il lavoro dei dipendenti ha ammesso «di aver deliberatamente e ripetutamente inserito i dispositivi blocca freni, i "forchettoni", durante il normale servizio di trasporto dei passeggeri, disattivando in questo modo il sistema frenante destinato a entrare in funzione in caso di pericolo». Enrico Perocchio, direttore d'esercizio, l'ingegnere a cui spettava il compito di vigilare sulla funivia, e Luigi Nerini, il gestore dell'impianto e titolare della società Ferrovie del Mottarone, «erano stati ripetutamente informati e tanto Perocchio, quanto Nerini avallavano questa scelta»

 

 

 

Una manutenzione più impegnativa dell'impianto avrebbe risolto l'anomalia ai freni che li faceva scattare all'improvviso, ma Nerini e Perocchio «non si sono attivati per consentire i necessari interventi di manutenzione che avrebbero richiesto il temporaneo fermo dell'impianto, con conseguenti ripercussioni di carattere economico». Fermare la funivia che porta circa 900 persone al giorno, «avrebbe fatto perdere l'incasso alla società. Le conseguenze di queste scelte - proseguono i magistrati - comporteranno in caso di accertato riconoscimento della responsabilità penale un'elevatissima sanzione detentiva». La procura chiede il carcere per il timore che gli indagati possano tentare la fuga anche «in ragione dell'elevatissimo clamore internazionale per la sua drammaticità, che sarà accentuato ancora dalla conoscenza delle cause del disastro», ma anche per evitare possibili inquinamenti probatori. Fin qui l'accusa, le cui tesi passeranno al vaglio del Gip già sabato mattina nel corso dell'udienza di convalida. Di fronte al giudice gli avvocati degli indagati chiederanno la misura degli arresti domiciliari, per i quali la procura ha già fatto sapere che si opporrà.

 

 

 

 

 

Intanto dal carcere di Verbania, attraverso il suo legale, l'avvocato Pasquale Pantano, Luigi Nerini manifesta il suo stato d'angoscia: «Sono affranto - dice -. Il mio primo pensiero ora è quello di risarcire le vittime». Il legale ha anche annunciato che su mandato del suo assistito ha già contattato uno studio specializzato per i risarcimenti. «Non entro nel merito dei fatti - ha spiegato - perché c'è un'indagine in corso che appurerà la verità. Si è chiarito perché il sistema frenante non abbia funzionato, ma non il problema a monte di tutto, cioè lo spezzamento della fune. Attendiamo l'esito degli incidenti probatori e irripetibili».

E se il "tema funi" merita un capitolo a parte, ieri in procura i magistrati hanno esaminato la documentazione relativa agli interventi di manutenzione effettuati in autunno dalla Sateco di Torino per conto della Leitner e quella dei controlli avvenuti l'agostro scorso dall'Autority del ministero delle Infrastrutture. Da quel che si è appreso, il sistema frenante di sicurezza che era stato disinserito, segnala anomalie nella meccanica della funiva, verosimilmente criticità riguardo ai cavi che, però, non sarebbero state individuate. Da qui «la scelta scellerata di attivare i "forchettoni"».

L'ultimo filone dell'inchiesta, invece, si concentra sulla «responsabilità oggettiva» di chi avrebbe dovuto controllare. Non solo il ministero delle Infrastrutture, ma anche l'Ente proprietario della funivia, cioè la Regione o chi si comportava come se lo fosse, il comune di Stresa. A tale proposito l'assessore al Patriminio della Regine Piemonte Andrea Tronzano, ha dichiarato: «La trascrizione nei registri catastali non è ancora stata finalizzata a causa di alcuni contenziosi. Ma la Regione, già a marzo, aveva sollecitato il comune di Stresa a perfezionare gli ultimi atti».

 

 

 

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