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Enrico Letta preso in giro anche dai suoi: "Tutti gli ingredienti per un disastro", rumors in Parlamento

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Fausto Carioti
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Primo scontro con la realtà per chi ha creduto a Enrico Letta e alla sua promessa di far approvare il disegno di legge Zan «così com' è». Ossia con quella incomprensibile definizione di «identità di genere», l'indottrinamento dei ragazzi a scuola, il reato d'opinione e il resto. Ieri è successo il più prevedibile degli incidenti: il centrodestra, forte della posizione che occupa col leghista Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia, ha chiesto di sentire in audizione 170 esperti, dall'ex pm Carlo Nordio a Platinette. Chiaro il senso: se il testo resta «così com' è», i prossimi mesi saranno trascorsi a collezionare pareri.

A ottobre, poi, inizierà la lunga sessione di bilancio, e dopo Capodanno si allestirà il circo che dovrà eleggere il prossimo presidente della repubblica. Scelto il quale, non è affatto escluso che la legislatura termini. Si mette male, dunque. Motivo per cui il capogruppo renziano, Davide Faraone, ha già proposto di «migliorare» il ddl, cercando un accordo, almeno con Forza Italia, su una nuova versione, che si limiti magari ad inasprire alcune pene, rinunciando ai bavagli e ai propositi di rieducazione. Significherebbe, una volta approvato al Senato, rispedirlo a Montecitorio, ma è sempre meglio così che andare alla conta contro il centrodestra.

 

 

 

 

 

Spera nell'intesa pure una parte del Pd, dove il senatore Andrea Marcucci fa sapere di attendere, «nei prossimi due o tre giorni», una richiesta di trattativa da parte del centrodestra. Che invece è proprio ciò che respingono gli ultrà della "linea Letta", i quali hanno iniziato a raccogliere le 33 firme necessarie per dichiarare «urgente» il ddl Zan e portarlo subito in aula, saltando la commissione: proposta che, per essere adottata, dovrà comunque essere approvata dall'emiciclo, cosa niente affatto scontata. Tra loro, assieme ai fedelissimi del segretario democratico e ai senatori più a sinistra, ci sono i Cinque Stelle, che hanno impugnato la bandiera arcobaleno della legge Zan dopo aver visto i dubbi crescere all'interno del Pd, dove certe norme risultano indigeste tanto ad alcune femministe quanto ai cattolici.

 

 

 

 

 

Se i più accorti tra i giallorossi tremano all'idea di percorrere la strada indicata da Letta, è perché sanno quanto è pericolosa. I gruppi favorevoli al ddl anti-omofobia (M5S, Pd, Iv, Autonomie e Leu) contano in tutto 144 senatori: pochi per un'aula che ne può contenere 321. Servirà il soccorso degli ex grillini e di altri peones, soprattutto nelle votazioni a scrutinio segreto, perché già si sa che diversi eletti del Pd (e non solo) voteranno seguendo le proprie convinzioni e non il partito. Così ora il fronte giallorosso è diviso tra chi cerca lo scontro; chi vorrebbe la legge «così com' è», ma sa che difficilmente potrà averla e con realismo spera di cambiarla assieme al centrodestra, e chi aspetta il voto segreto per mettersi in pace con la propria coscienza. Tutti gli ingredienti per un disastro, insomma, e a metterli lì è stato Letta. Per uno che ha già perso le partite sullo ius soli, sulla tassa di successione e sul blocco dei licenziamenti, sarebbe la quarta batosta in poche settimane. Iniziano a diventare troppe, anche per un incassatore come lui.

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