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Antonio Socci, è il Pd a non azzeccarci nulla con Mario Draghi: tasse e ddl Zan, la deriva estremista della sinistra

Antonio Socci
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A cento giorni dalla nascita del governo Draghi, si è dissolta di colpo la cortina fumogena della propaganda ed è apparsa una realtà opposta a quella che, per mesi, i media e il Pd, avevano raccontato: il grosso problema dell'esecutivo non è la Lega, ma il duo Pd-M5S. A dire il vero, i mal di pancia dentro al Pd, per la defenestrazione del governo Conte e l'arrivo di Draghi, c'erano fin dall'inizio e sono noti da tempo. Goffredo Bettini, lo stratega di Zingaretti, insinuava: «Non voglio usare la parola complotto, ma per la caduta del governo presieduto da Giuseppe Conte si è mosso qualcosa di più grande di Matteo Renzi». Ieri Marcello Sorgi, che conosce bene l'ambiente Pd, scriveva sulla Stampa che «il Pd di Zingaretti e Bettini», dopo la crisi di governo, pur di bloccare Draghi, si è «adoperato fino all'ultimo per convincere Renzi al varo impossibile del Conte-ter». Poi, con il cambio di segreteria e l'arrivo di Letta, si è voluta accreditare l'idea che il suo Pd fosse diventato il più convinto sostenitore di Draghi, quasi "il partito di Draghi". 

 

Ora però si rende evidente che è il contrario: Draghi, per i Dem, è un avversario. Lo stesso Sorgi deve riconoscere che dalla leadership di Letta «ci si attendeva una raddrizzata in senso filo-Draghi di questo scivolamento del Pd verso il radicalismo. Eppure (Letta, ndr) sembra deciso a procedere in senso opposto». La sua demagogica sortita sulla tassa di successione (un balzello sulla morte) ha avuto una risposta secca da Draghi («non è il momento di prendere soldi, ma di darli»). Ma subito è arrivata la replica stizzita di Letta che tiene il punto e prosegue il suo braccio di ferro col premier, guadagnandosi il plauso del Manifesto per «questi giorni barricaderi nei confronti di Draghi». Ormai il conflitto è aperto su molti fronti. Ieri bastava scorrere i titoli dei giornali. Repubblica apriva così: «Governo diviso sugli appalti. Landini: "Scelta indecente"». La Cgil minaccia addirittura lo sciopero generale e Paola De Micheli (Pd), che era ministro delle Infrastrutture nel Conte bis, tuona: «Il Pd non può consentire il ritorno del massimo ribasso negli appalti». La prima pagina del Fatto quotidiano di ieri accusava Draghi di essersi preso i «pieni poteri» e dava voce ai «malumori» di certi ministri: «fa tutto lui». Addirittura «il vicesegretario (del Pd) Provenzano» scrive Sorgi «non fa mistero di sentirsi libero di non riconoscersi pienamente in un governo guidato da un banchiere». 

E pensare che - all'inizio - Letta accusava Salvini di stare con un piede nel governo e un piede all'opposizione. Arrivava a intimare alla Lega: «o dentro o fuori». Oggi si scopre invece che è il Pd a dover decidere se stare dentro o fuori. L'ostilità del Pd verso Draghi deriva anche da una ragione più profonda: la paura di perdere il Quirinale (che si aggiunge al terrore della vittoria del centrodestra alle prossime elezioni politiche). La candidatura di Draghi al Colle, infatti, è sempre la più forte ed è stata rafforzata da questi mesi di governo perché sta realizzando la vaccinazione di massa (che l'esecutivo Conte non riusciva a far partire davvero); ha salvato il Recovery che con "Giuseppi" si era impantanato in Europa; infine miete consensi entusiasti in tutto il mondo ed è ormai riconosciuto come la personalità più autorevole in ambito Ue.

 

Da qui viene l'irrigidimento del Pd e la deriva sempre più estremista di Letta. Del resto il suo Pd ora si scontra non solo con il governo, ma perfino con la Confindustria (il titolo del Sole 24 ore di ieri suonava così: «Licenziamenti, l'inganno di Orlando») e addirittura con la Chiesa bergogliana che, pure, non sarebbe avversa al Pd. Il presidente della Cei Bassetti, infatti, è arrivato a dire che il Ddl Zan non va affossato, ma corretto: ci sarebbe già la disponibilità del centrodestra. Ma Letta è più interessato a piantare una bandierina di partito, per conseguire un successo, che ad approvare una buona legge, perciò risponde picche a tutti (Chiesa compresa) e ordina ai suoi di approvare il Ddl Zan «così com' è». Terremotando anche il governo. 

 

Oltretutto Letta è voluto andare a pestare i piedi al Vaticano perfino sul tema che - in tempi di Sinodo tedesco - è esplosivo per la Chiesa: il sacerdozio femminile (idea sostenuta da un segretario Pd che non ha mandato al governo nemmeno una donna e che alle prossime amministrative non candida donne). In questa deriva estremista Letta ha cercato la solita copertura internazionale. Ecco il motivo del suo recente viaggio a Bruxelles dove ha presentato il Pd ancora una volta come la "longa manus" del "partito europeo". Sennonché con Draghi a Palazzo Chigi non c'è nessuno spazio per Letta in Europa. Oltretutto, nello scontro che potrebbe profilarsi, in futuro, fra i falchi del rigore tedesco e Draghi, che vuole la riforma delle attuali regole di bilancio, Letta si troverà in enorme difficoltà. O schierarsi con Draghi (smentendo così il suo passato "elogio dei parametri di Maastricht") o schierarsi con i falchi tedeschi e dunque andare contro l'Italia e contro Draghi. La Sinistra insomma pare senza bussola.

Pure dal M5S, che è nel caos, criticano il ministro Cingolani (un tempo ritenuto di area grillina) e addirittura il ministro delle Politiche agricole Patuanelli dello stesso M5S. In questo bailamme il centrodestra di governo appare oggi come il più solido punto di forza del premier.

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