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Vittorio Feltri e la tragedia della funivia Stresa Mottarone: "Quando vidi il disastro di Cavalese, come cambiò la mia vita"

Vittorio Feltri

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La notizia ha sconvolto gli italiani, ma li vorremmo tranquillizzare, almeno un po'. In Piemonte una funivia si è schiantata al suolo per motivi tutti da accertare, mentre scrivo il numero esatto dei morti ancora si ignora, minimo quattordici, forse il bambino, dato per ferito, si aggiunge alla contabilità delle vittime. Speriamo di no, però vedremo. Si è trattato di una grave disgrazia che allarma qualunque appassionato di escursioni in montagna. Ovvio. Non potrebbe essere diversamente, davanti alle catastrofi nessuno rimane indifferente. Vorrei solo esprimere una riflessione che mi auguro rasserenante. Ogni giorno funzionano nella massima sicurezza decine, centinaia di mezzi che scorrono su corde di acciaio che ne reggono perfettamente il peso. Mi riferisco non soltanto alle funivie, anche alle seggiovie e perfino alle funicolari, che nella mia città di origine, Bergamo, sono addirittura due.

 

 

Ebbene incidenti come quello tragico piemontese sono stati rari. In Italia si contano sulle dita di una mano. Pertanto coloro che abitualmente usufruiscono di determinati veicoli non devono fasciarsi la testa, è più facile tirare le cuoia in auto, in moto o in bicicletta che non in funivia, sulla quale i sinistri sono rari, anzi rarissimi, uno ogni trapasso di vescovo. Perciò il popolo continui pure a salire a bordo delle cabine che attraversano le vallate senza temere conseguenze disastrose.

 

 

Ve lo dimostro raccontandovi un episodio avvenuto a Cavalese negli anni Settanta. Anche in quel caso accadde per motivi oscuri che la corda si spezzasse, forse per cattiva manutenzione, facendo precipitare nel burrone l'abitacolo che conteneva la bellezza di quaranta persone stipate. Un volo di oltre cinquanta metri a cui scampò solamente una ragazza di venti anni, la quale se la cavò con varie fratture alle gambe. Per gli altri fu una ecatombe. Il Corriere della Sera, il mio giornale di allora, inviò me e un collega a Cavalese per raccontare la raccapricciante storia. Raggiunta la località in provincia di Trento, scendemmo nel burrone per dare una occhiata alla cabina, allo scopo di capire come si fosse ridotta dopo l'impatto con la terra. Ebbene, essa non era più alta di sessanta centimetri, completamente schiacciata su se stessa, e al suo interno, letteralmente compressi come carne in scatola, erano deceduti coloro che trasportava, eccetto la menzionata fanciulla, miracolosamente salvatasi, benché ferita.

 

 

Questa esperienza scioccante mi segnò al punto che non misi più piede né sedere su ciò che attraversa il cielo. Dopo un po' di tempo dalla tragedia di Cavalese andai a intervistare la giovane donna sopravvissuta. Era serena. Mi confessò di ricordare quasi nulla di quanto le era successo, e di considerarsi baciata da Dio. Mi congedò con un sorriso, mi accompagnò all'uscio senza neppure zoppicare. Se non è la tua ora sei condannato a campare.

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