Funivia Stresa Mottarone, ecco perché è la strage di chi era tornato a vivere
Da dove cominciare il racconto dei nostri quattordici morti di Pentecoste, accartocciati nella funivia che collega Stresa alla cima del Mottarone, provincia di Cuvio-Verbania? Non dall'orrore di quei cadaveri raccolti dai vigili del fuoco e dagli uomini del soccorso alpino, che le immagini raffigurano straziati e immobili, con le braccia aperte dalla costernazione.
È più umano partire dagli ultimi istanti di vita, pensiamo sia giusto per loro, si capirà che non volevano brividi di avventura, ma la quiete di una bellezza gustata insieme, senza timore di stringersi un po', nel vero primo giorno della liberazione, una sorta di seconda nascita. Viene in mente il racconto di Hemingway: «Breve la vita felice di Francis Macomber». La funivia e il panorama del Lago Maggiore Quindici facce allegre nel giorno di festa, guardavano salendo in cielo il più bel panorama del mondo, mentre il sole brillava (occhi su). Sotto di loro le isole Borromee, quella è l'Isola Bella, quell'altra è quella dei Pescatori (occhi giù), gocce di smeraldo nell'azzurro del lago Maggiore, eccetera. E poi Il contrasto tra la luce e le tenebre non potrebbe essere più netta. Non è una memoria di viaggio questa, ma la cronaca di uno schianto in un giorno entusiasta, nell'ora culminate. Ore 12, ci sono le borse per il picnic, gli zainetti tra i piedi, il cellulare zigzaga. Mancano trecento metri alla stazione di arrivo.
Poi chi vorrà potrà prendersi anche la seggiovia, per l'ultimo tratto, ma non esageriamo, il resto sul sentiero e il prato. Il Mottarone che vuol dire Monte Rotondo non ha asprezze, è un balcone che ha la dolcezza di una veranda sul giardino. Pazienza che si arriva, o forse si vorrebbe durasse tutta la vita questo navigare nell'infinito, dove l'aria somiglia alle acque materne della pace. Pace? Un istante e lo strappo secco del tirante, il precipizio. Sembrava così leggera quella scatola colorata, così bella la vita. Tutto vero, resta vero, ma oggi è più vera la morte di quattordici persone come noi, che finalmente respiravano l'idea che si vive di nuovo. Due bambini, pare di cinque e nove anni, sono stati trasportati all'ospedale di Torino: uno purtroppo non ce l'ha fatta, l'altro lotta per vivere. Chi era con lui, madre, padre, zio, non è lì accanto a vegliare, l'urto tremendo da cui è sopravvissuto lo ha reso orfano. Si sono messi in fila verso le dodici e trenta. Chi vive in Lombardia e Piemonte lo sa (ma forse lo sanno dovunque nel mondo) prima di partire da Stresa per il panorama forse più bello del mondo, si parte per una gita che conduce allo spettacolo dei fiori sul lago Maggiore.
Non ne esistono di paragonabili sotto le Alpi. Quelli di Villa Taranto a Pallanza, poi dieci minuti di auto, ed a Stresa il giardino botanico Alpinia. Piante rare, colori più seducenti che i pesci del Mar Rosso. Ma i bambini puntano al trasbordo sulla scopa volante. Non solo a loro, ma a tutti i passeggeri, quando si sono aperte le porte della cabina bianca e rossa della funivia che porta da Stresa al Mottarone sembrava di aver scassinato per sempre il carcere del lockdown e via, e su, ad ammirare la chiostra alpina e i laghi, infine sedersi sull'erba, godersi il panino e ad est il Maggiore a ovest quello di Orta. Prima però venti minuti di trasvolo sognante, era la promessa. Quante precauzioni anche ieri, per salire in funivia. L'addetto faceva in modo che la naturale tendenza a tamponarsi nelle code onde far prima non accorciasse le distanze sociali.
La trafila consueta, in questo caso era piacevole persino vedersi puntare quella quella pistola di plastica sulla fronte per misurare la febbre. Trentasei e tre, va bene. Va bene un cavolo, se eravamo tutti trentotto la si scampava. La capienza del vagoncino è stata per sicurezza (che ironia) ridotta alla metà dei posti standard, onde non respirarsi addosso microbi malvagi. Paradosso: quei quindici-venti che non sono saliti per le norme anti pandemia, sono gli unici a cui il Covid ha salvato la vita. Questa Pentecoste è speciale, occasione di purificazione della mente e dei polmoni dopo gli incubi del confinamento. Dal 19 maggio i turisti possono riattraversare i valichi delle Alpi, affacciarsi al nostro sole.
La prima gita, con il fruscio dei cavi, con la lieve danza da trapezisti causa il vento, sospesi senza rete ma prudenti, navigando sopra i boschi, un po' astronavi od ospiti di una mongolfiera, senza rombi di motori, ma il vociare multilingue. Fantastico. Ci si appaia al falco pellegrino, non però come quei matti in deltaplano o parapendio, ma saldi e attaccati alla potente tecnologia, revisionata, radiografata dalla ditta sudtirolese, il massimo. Ora, con i corpi negli obitori, apprendiamo che negli anni '60 il vecchio trenino a cremagliera che faceva tanto bella époque era stato sostituito da una funivia d'avanguardia. Questa. Nel 2014 era stata ristrutturata, in grado di sopportare ogni possibile tremendo collaudo ed eventualità apocalittica, non certo come i tunnel e i viadotti abbandonati all'incuria. Due anni di lavoro ed eccola ringiovanita come un'aquila dalle penne nel fiore degli anni. La ripresa dei viaggi il 25 aprile dopo la sosta. E ieri il giorno del gran pavese di un ritrovato orgoglio. E quattordici morti.
Come siamo fragili, non sarà fatalità, tutto ha una causa, e ci sono colpe senz' altro. Ex post il senno esce dal torpore consueto, forse già domani apparirà il titolo coniato dai plagiatori perenni di Garcia Marquez: «Cronaca di una tragedia annunciata». Come no? Troveremo gli appositi Benetton anche stavolta, ci sono sempre dei Benetton da accusare, da stanare come profittatori, salteranno fuori perizie devastanti o e inascoltate come per i tiranti del Ponte Morandi, e tutto va bene, e la magistratura c'è apposta, e pure le commissioni già nominate dal ministro che nel 2018 era Toninelli e oggi Giovannini. Bisogna. Ovvio. Tutto ciò è necessario perché non si ripetano altre sciagure, e lo si diceva già al tempo del Titanic, ma resta questa tragedia dell'umanità: che per dolo, negligenza, cedimento strutturale inspiegabile, o mancanza ingiustificabile, comunque sia, in questi secondi infiniti ed eterni quei nostri fratelli non hanno avuto tempo di esaminare la scatola nera della funivia, ma neppure quella della loro vita, che in quei brevi minuti era stata così felice.