Cerca
Cerca
+

Fausto Carioti, il vero problema di Salvini e Meloni: "Lega borghese, Fdi sudista. Chi unisce i voti?"

Salvini e Meloni

  • a
  • a
  • a

Una Lega forte, ancorata al Nord ed espressione della borghesia delle regioni più ricche. Una destra conservatrice post-missina, primo partito al Sud, ma più debole al di sopra della Linea Gotica. È la fotografia appena scattata da Euromedia Research, l'istituto di Alessandra Ghisleri, e pubblicata ieri da Libero. Ricorda qualcosa? Ingiallita dal tempo, un'immagine simile è conservata nell'album del centrodestra, anni 1993-1994. Non erano nemmeno alleate tra loro alle elezioni, le due formazioni: lo furono però nel primo governo Berlusconi. «Riuscii a concludere una doppia alleanza elettorale, al Nord con la Lega, che col tempo rinunciò alle idee di secessione, e al Sud con i postfascisti dell'Msi, che stava diventando un partito più moderato e democratico», ricorda il Cavaliere nel libro-intervista con Alan Friedman.

 

 

Quella Lega, nel giugno del 1993, aveva conquistato Milano con Marco Formentini; Gianfranco Fini, a dicembre, era arrivato a un soffio dalla presa del Campidoglio: la destra che oggi chiamiamo identitaria e sovranista ha radici profonde. Berlusconi - l'anomalia, l'ultimo arrivato - fece da federatore tra il suo partito e i loro, e vinsero. L'immagine del fondatore di Forza Italia è l'unica vera grande differenza tra le due fotografie. All'epoca Berlusconi troneggiava in mezzo all'inquadratura. Era l'uomo che partendo da zero, in sessanta giorni, aveva sconfitto il Pds, convincendo 21 italiani su cento a votare per lui. Ma era centrale pure perché era il tramite necessario tra Umberto Bossi e Fini, e il suo appartamento romano era la stanza di compensazione nella quale i problemi tra gli altri venivano discussi e risolti. Proprio quello che oggi manca al centrodestra.

 

 

Lunedì si riuniranno Salvini, Meloni e Antonio Tajani, per risolvere il problema delle candidature a Milano, Roma e nelle altre città, e già si sa che non risolveranno alcunché. Non solo mancano nomi forti e condivisi da schierare dopo aver bruciato Gabriele Albertini e Guido Bertolaso, ma il clima è pessimo. La presidente di Fdi e il segretario della Lega non si incontrano da mesi e non si parlano da giorni. Lei ce l'ha con lui perché ha tardato a far mollare al leghista Raffaele Volpi la poltrona di presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, che per legge spetta all'opposizione. Non bastasse, Salvini, appena ha rimosso l'ostacolo, ha fatto sapere che non vuole il meloniano Adolfo Urso, «amico dell'Iran», presidente al posto di Volpi.

Lui ce l'ha con lei per gli ostacoli frapposti alle candidature di Albertini e Bertolaso. Accusa lei e i suoi di averli fatti scappare senza avere alternative decenti da proporre. Contrasti che rischiano di bruciare anche una designazione politica valida e "naturale" come quella di Maurizio Gasparri, il quale non smania per correre da sindaco della capitale, ma se l'intera coalizione glielo chiedesse difficilmente rifiuterebbe. A mancare, insomma, oltre all'ottima classe dirigente azzurra, che il Cavaliere aveva saputo costruire anche pescando nel lago della sinistra riformista (cosa che né la Lega né Fdi sono capaci di fare), è il ruolo di federatore e "accomodatore" che Berlusconi ha sempre avuto nella coalizione. Non c'è più nessuno che svolga quel compito, e il prezzo lo paga tutto il centrodestra (elettori per primi).

 

 

Dai blog