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Ddl Zan, ecco perché la nuova legge negherebbe i diritti degli altri: quale pericolo corriamo

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 Manifestazione a favore del Ddl Zan

Iuri Maria Prado
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Visto che la favola del ddl Zan avversato solo da omofobi e sessisti che reclamano la libertà di bastonare i gay e l'impunità per il marito che frusta la moglie non regge più tanto bene, e visto che qualche ragionevole motivo di critica verso quel disegno di legge è venuto anche da alcuni che era un po' difficile infilare nel gruppo degli istigatori all'odio, allora dall'esercito dei forsennati, quelli che il ddl Zan va approvato subito, senza se e senza ma, perché altrimenti l'Italia resta ai margini delle comunità civilizzate, si stacca la falange della soluzione compromissoria: miglioriamolo, dicono. 

 

Se si trattasse solo di grammatica, l'intendimento sarebbe anche buono perché tra le altre cose che squalificano quelle norme c'è pure che sono scritte in un italiano da far piangere. Ma il fatto è che non si tratta solo di grammatica, e non si vede come si possa migliorare, se non seppellendolo sotto una valanga di voti contrari, un proposito di riforma che - almeno in ottica liberale - ha presupposti sbagliati, finalità sbagliate e strumenti anche più sbagliati per perseguirle. Nei presupposti, infatti, è sbagliato perché rinnega esattamente la causa per cui occorre proteggere chi è vittima di violenza o discriminazione: e la causa è il diritto dell'individuo di fare quel che gli pare sino a che non molesta gli altri, un diritto che ha in quanto persona, non in quanto bianco o nero, maschio o femmina, omosessuale o eterosessuale o altro. 

 

Poi sono sbagliate le finalità di quella riforma sconsiderata, finalità che persino nelle dichiarazioni dei sostenitori si rivolgono a "educare" la società dividendola in corporazioni sessualmente orientate, ciascuna col suo orto di micro diritti inseminati di retorica da webinar pluralista. E infine sono sbagliati gli strumenti attuatori di quei presupposti e di quelle finalità, cioè la multa e la galera, il presidio penale posto a incivilire la società che sgarra affidandola alle cure del magistrato che decide se sei stato dentro o al di fuori del "purché" (libera manifestazione delle idee, dice questo capolavoro, "purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti"), che è il confine democratico tra le cose permesse e quelle vietate nel bel mondo che ci regalerà questa legge imperdibile. Che cosa c'è da "migliorare", in un simile scempio? C'è da dire no, e basta.

 

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