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Ciro Grillo, Filippo Facci commenta i verbali: "La loro concezione del sesso. E se fossero stupratori a loro insaputa?"

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Filippo Facci
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Ne abbiamo letto abbastanza da sapere che non ne sappiamo nulla, ma proprio nulla: il caso «Ciro Grillo» resta rigorosamente mediatico (sinora) e ci ha sbattuto in faccia ogni accusa possibile, difesa possibile, verbale e versione possibile, e ovviamente ha rianimato dibattiti preformati tra femministe e maschilisti a prescindere. Il tutto in quella terra di nessuno tra la chiusura delle indagini (durante le quali i magistrati si sono comportati benissimo, con l'ormai rara segretezza prevista dal Codice) e il vero dibattimento (processo) che non è neanche iniziato e formalmente non è stato neppure richiesto, e deciso, teoricamente potrebbe anche non esserci. Poi ci sarà, lo sappiamo, e personalmente abbiamo anche un'idea di come finirà - le linee guida della Cassazione non concedono troppa discrezionalità ai giudici - ma non prendiamo le parti di nessuno, qui, e al processo mediatico non partecipiamo.

Lo ripetiamo: non partecipiamo. Ci permettiamo però di ipotizzare una cosa: che sì, potremmo anche aver letto tutto, giudicato tutto, e tuttavia non sapere assolutamente nulla della generazione di ragazzi che interpretano questa scabrosa vicenda, diversi da noi e dalla nostra mentalità - fatta di principi, esperienze, non ultime leggi - che loro potrebbero neppure aver concepito, così come noi potremmo non concepire nulla di loro come generazione che appartiene a un altro mondo, è un'altra cosa; sono diversi, e lo sono anche da quei trentenni o quasi quarantenni sui quali pure abbiamo già scritto e letto ogni trattato. 

 

 

Ci permettiamo di ipotizzare, dunque, che espressioni dure come «stupratori» o «stuprata» sfuggano e sfuggissero completamente dalle menti di quei giovanissimi attori (praticamente bambini, a guardar le foto) e che quella sera potessero essere tutti colpevoli e tutti consenzienti (già pronta la controaccusa: «Quindi tutti innocenti?») in un mondo a noi sostanzialmente sconosciuto, in cui l'unica dimensione non consenziente si rivela per forza di cose la Legge, cioè il mondo adulto, cioè noi, costretti come siamo a incasellare quei ragazzi in un mondo adulto che ora li costringe a ruoli, ad accuse e difese, a ruoli da vittime e carnefici, a qualcosa che ora li costringe a regolamentare e accettare il «gioco» anche tragico a cui loro pensavano di partecipare.

I VERBALI
C'è una cosa che accomuna tutte le versioni e i verbali d'interrogatorio che possiamo aver letto sulla nostra stampa adulta: sembrano tutte credibili, potrebbero sembrare anche tutte versioni vere (anche quando divergenti) benché restino inamidate e costrette nel linguaggio giuridico di chi accusa o difende i protagonisti. Non c'è da atteggiarsi a sociologi, ma quanto questa generazione soprannominata «youporn» possa essere distante dalle nostre classificazioni morali (e giurisprudenziali) forse non possiamo neanche immaginarlo: è, la loro, la dimensione più amorale (o amoralista) che sia mai esistita, la più lontana dai nostri impulsi categorici e classificatori, lontana dalle ombre e dai riflessi riguardanti evoluzioni del comportamento sessuale che per noi sono già lontane ma ancora si riverberano nella nostra memoria e mentalità, ma che per loro sono fantascienza pura.

 

 

Loro sono nati e cresciuti in una realtà comunque più facile e benestante (non tutti, ma tanti) il cui sesso non solo non rappresenta un tabù, ma ci sono cresciuti insieme con la spicciata naturalezza di chi fa click sullo smartphone o sul tablet; la sessualità è per loro un tema ancora più sdoganato e accessibile ed esibito di quanto mediamente si ritenga, anche se fingiamo di saperlo, di esserne consapevoli. Ma all'atto pratico non è mai vero, e torniamo sulle nostre: i dibattiti pubblici retrocedono agli anni Settanta o al ruolo della famiglia o alla ridicola educazione sessuale nelle scuole, ma loro sono cresciuti per conto proprio, certi problemi proprio non se li pongono, li lasciano a noi. A quell'età, peraltro, la differenza tra uomini e donne non è un problema sociale: è un problema piacevole. Una ricerca Ipsos vecchia di quattro anni spiegava che il 65 per cento dei ragazzi e il 36 per cento delle ragazze (tra i 15 e 17 anni: oggi avranno l'età dei nostri protagonisti) ha utilizzato materiale erotico, quindi filmati, esperienze per gestire serenamente la bomba ormonale, facilità d'approccio via social. Noi, se apprendiamo che a notte fonda una o due ragazze sono andate a casa di quattro ragazzi, beh, ci scatta subito qualcosa, un'attribuzione di ruoli possibili per uomini e donne, spesso giudizi.

FEMMINISMI
Per loro, uomini o donne che siano, questo problema non esiste: partecipano tutti allo stesso gioco, ed è un gioco dove le differenze di ruolo sessuale tra uomini e donne (non parlateci di parità anche in questo, per favore) sono accettate nei limiti in cui piacciono e basta. Sessualmente, nella loro generazione, non esistono femminismi: e buon per loro, loro donne. Interrogati, i ragazzi e le ragazze - non stiamo neanche a dire chi, apposta - hanno detto che alla fine hanno avuto un rapporto sessuale tutti e quattro, che tra loro erano sconosciuti sino a poche ore prima, che erano decisamente brilli e forse lei ha sfidato i maschi a chi beveva di più, che lei potrebbe (potrebbe) anche aver deciso di fare sesso con tutti e quattro, a più riprese e a turno, perché l'esperienza l'attirava. E noi dobbiamo accettare che la cosa possa essere assolutamente normale, e che l'unico problema, per loro e soprattutto per lei - siamo sempre il Paese del Papa - sia rapportare tutto questo a noi, noi adulti e genitori e insomma, con un'altra testa.

Ma questo non è incompatibile col fatto che nell'occasione - di altre non sappiamo e non sapremo mai, giustamente - lei possa essersi pentita e accorta che quell'esperienza aveva passato un segno e si era trasformato nel disagio incancellabile di chi ha subito una violenza. «Ho sbagliato un'altra volta, ho fatto un'altra cazzata». Ha scritto alle amiche. E pone fine al gioco che, si è accorta, quel segno l'ha passato. Non sta bene con se stessa: ed è perché quel gioco, come dicono nel mondo dei grandi, è sfuggito si è trasformato in una violenza sessuale. E, nel pieno diritto di farlo, allora denuncia. Pone un limite al gioco, decide che è finito. Ed entra in un mondo che è costretto a darsi delle regole e a punire chi manifesti «dissenso implicito», o mentre gioca sia sbronza o sotto l'effetto di droghe e quindi in condizioni di inferiorità psichica, annebbiata nelle sue scelte.

 

 

Chissà quanti milioni di amplessi si sono consumati tra soggetti che avevano alzato il gomito, e l'avevano fatto proprio per quello: ma, oggi, chi il giorno dopo si risveglia e realizza l'accaduto, giudicandolo sgradevole, può andare dai carabinieri e sporgere denuncia. Questo dice la giurisprudenza, punto. Che punisce anche chi magari non partecipa ma assiste: non c'è attenuante. E qui non si giudica la legge, non la stiamo giudicando: ma sappiamo che esiste per motivi precisi, ed è fatta in un certo modo per ragioni precise. «Doveva essere un gioco» ha detto Ciro Grillo agli inquirenti. Magari lo è stato, magari, però, a un certo punto, è diventato un'altra cosa. Probabilmente si chiamerà stupro: e a un giudice, di che generazione sei, non gliene frega niente. Hanno giocato. È andata male a lei. È andata male a loro.

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