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Pietro Senaldi sulla deriva del Pd: "Superato da Giorgia Meloni, ai compagni non resta che pescare sardine"

 Pietro Senaldi

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Pd, partito alla deriva; o partito dietro, stando all'ultimo sondaggio dell'istituto demoscopico Emg-Aqua, che ieri dava la forza di Letta al 16,9%, quarta e sopravanzata sia da M5S (18,4) sia da Fdi (18,5) e Lega (22,2). Il senso è che i dem stavano meglio quando stavano peggio, ovverosia quando in tolda c'era Nicola Zingaretti, che ha abbandonato la nave al 18,5. I numeri contano poco se le elezioni sono lontane, però qualcosa vogliono dire. La prima è che Enrico Letta è tornato dalla battuta di pesca con le reti vuote. Era partito per infiocinare la balena grillina, rischia di finire all'amo delle sardine.

Il piano non troppo segreto dei dem, che governano con i voti di M5S in Parlamento e sperano di replicare la formula nelle città, era di affiliare i cinquestelle, renderli una costola della sinistra, finanche un predellino dei post-comunisti. Giuseppe Conte, il nuovo leader del Movimento, designato direttamente dall'Elevato Beppe, che però ultimamente non ne azzecca una, era felice di farsi affiliare e consegnare a Letta i brandelli pentastellati. Solo che Di Maio da una parte e Casaleggio dall'altra gli hanno rotto le uova nel paniere, spezzando il partito, che però ne è uscito più forte, segno che l'orgoglio paga più della sottomissione. I progressisti speravano di trovare un accordo sui contenuti, forti del fatto che il Movimento di contenuti non ne ha; però il vuoto di idee ingigantisce personaggi e interessi, e quindi l'intesa si è complicata.

 

 

Il progetto dell'ennesima riproposizione di un cartello elettorale in salsa d'Ulivo, a lungo coltivato dai dem, sta perdendo pezzi, tanto che nel Pd era tornato di moda il sistema proporzionale, almeno fino alla pubblicazione dell'ultimo sondaggio di Masia, che ha precipitato nel panico i vertici del Nazareno. Neppure nei suoi incubi più terribili Letta poteva immaginarsi di capitanare la quarta forza dell'emiciclo. Ecco che allora è scattato il piano disperato, la raccolta porta a porta di tutto quel che odora di sinistra, per precettarlo e ingrossare le fila.

 

Al mercato del pesce che ha più di tre giorni, i dem si sono rigettati sulle sardine. Poco importa che il riccioluto Mattia e i suoi adepti giusto due mesi fa abbiano definito il Pd «tossico», dopo aver sancito che «non esiste più» e che «va ristrutturato». Gli insulti diventano suggerimenti alle orecchie di chi non sa a che Santori rivolgersi. Nei momenti di sbandamento, che ormai sono delle costanti, il Pd trova come unica bussola l'avversario. E così Letta ha scatenato la guerra a Salvini, che ha sostituito Berlusconi nel ruolo dell'uomo nero. Il leader leghista attacca sui contenuti: aperture, immigrazione, giustizia, misure sanitarie, cose di sostanza. Il leader dem filosofeggia e replica su omofobia, sedicenni, ius soli, responsabilizzazione dell'Europa, cose importanti ma che non fanno pasto. La realtà però morde e conseguentemente i dem scendono nei sondaggi e perfino i grillini gli tornano davanti, avvantaggiati dal fatto di essersi inabissati mediaticamente.

 

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