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Vittorio Feltri e quel precedente con Piercamillo Davigo: "Ecco perché i magistrati mi fanno paura"

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Vi risparmio i dettagli sulla crisi della magistratura perché la vicenda scandalosa è talmente complicata che confesso di non averci capito quasi niente, tranne una cosa: siamo nella più totale confusione. Il personaggio in questi giorni più chiacchierato è Piercamillo (detto Piercavillo) Davigo, accusato forse ingiustamente di aver combinato un casino. Vedremo quando verrà fatta luce. Devo ammettere che, nonostante tutto, a me questo ex pm è simpatico. Uno che ha detto con enfasi che non esistono innocenti ma soltanto colpevoli che l'hanno fatta franca è un battutista di talento.

 

Davigo stesso d'altronde l'ha fatta franca, tanto è vero che i suoi colleghi hanno dovuto aspettare che egli andasse in pensione per attaccarlo per una questione che a me pare, forse per sbaglio, di lana caprina. Piercamillo ha lavorato una vita alla procura di Milano dimostrando di essere rigoroso, forse troppo, ma senza mai ricevere una critica. Adesso che ha conquistato il meritato riposo gli rompono le scatole. Strano. Mi viene voglia di difenderlo benché lui negli anni Novanta ebbe a querelarmi.

Spiego il motivo. In un articolo sul Giornale, già di Montanelli, avevo scritto che Davigo era sempre stato il primo della classe, fin da piccolo. Però aveva un difetto. Eseguiva i compiti perfettamente, tuttavia non consentiva ai compagni di classe di copiare i suoi elaborati, nascondendoli con la carta assorbente, come usano fare quasi tutti i secchioni. Il mio era un brano scherzoso per quanto non molto distante dalla verità. Ebbene, il magistrato invece di fare una risata pensò bene di denunciarmi quasi gli avessi dato del malandrino. Si va ovviamente a processo per diffamazione e sorprendentemente vengo condannato. Non ricordo la pena se non che fu pecuniaria. Rimasi di stucco, ma già allora sapevo che le cause intentate dalle toghe nei confronti dei giornalisti finivano immancabilmente allo stesso modo: sentenza favorevole ai colleghi dei giudici. Già questo assioma dovrebbe indurre alla riflessione, però sorvoliamo.

 

Me ne successe un'altra in quel periodo, che fa ancor più ridere. Vergai un fondo dedicato a una magistrata molto famosa: la Boccassini, professionista capace e donna indomabile. Osservai di lei che era talmente tosta da mettere paura non solamente agli imputati, bensì anche a me che non avevo pendenze. E precisai: ho talmente timore della signora che mi guarderei dal salire in sua compagnia perfino in ascensore. Una battutaccia che non aveva nulla di offensivo. Ciononostante ella mi querelò. Il processo di lì a un paio di anni si celebrò a Brescia e naturalmente fui punito: altri soldi prelevati dalle mie tasche. Niente di clamoroso, per carità, mi potevo e mi posso permettere di foraggiare pure le toghe.

Eppure ammetto di essermi scocciato poiché ho afferrato che la Giustizia non è una faccenda seria e conviene, ove ci sia l'opportunità, scansarla allo scopo di evitare grane comunque fastidiose. Ecco perché l'idea di Salvini e dei radicali di organizzare un referendum per riformare l'ordine giudiziario mi sembra eccellente e ne incoraggio la realizzazione. Senza rancore.

 

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