Pietro Senaldi, il sondaggio che affossa la magistratura: "Gli italiani non ne possono più delle toghe"
Perché non parli? La magistratura è travolta da una serie di scandali che ne hanno fatto precipitare la credibilità al 30%. Da più parti dell'opinione pubblica, da alcuni partiti e da esimi giuristi si invoca un intervento del presidente della Repubblica che rimetta in riga le toghe e segni la strada da seguire. Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, stimatissima professoressa che al momento sembra riuscire a mettere d'accordo tutti, ha iniziato a paventare una volontà di riformare il settore, ma ha aperto un cantiere vastissimo, che non può portare a risultati entro la fine del suo mandato. Il lavoro di studio infatti è appaltato a commissioni d'esperti, i cui risultati vanno poi approvati dal Parlamento, che sulla giustizia si divide da sempre, ed eventualmente corretti e ratificati dal governo.
L'impresa è ai limiti dell'impossibile. Ieri, nella sede del Csm, il capo dello Stato ha commemorato il giudice Rosario Livatino, vittima della mafia e prossimo alla beatificazione, esempio fulgido di toga che non fa politica e non viene a compromessi con essa. Mattarella non ha preso parola. Se l'avesse fatto, sarebbe risultato fuori dal tempo: si ricordava un magistrato eroe nel momento più basso della categoria nella storia della Repubblica. Mattarella è alla guida del Consiglio Superiore della Magistratura, quindi è capo diretto dei giudici, ma non commenta nulla di quel che sta accadendo, con la giustificazione di non voler intralciare il lavoro delle Procure, ben quattro delle quali stanno indagando su una misteriosa associazione di potere chiamata "Ungheria". Comprendiamo il rispetto delle forme. Però quando la barca affonda, l'equipaggio - e in questo caso l'equipaggio siamo noi italiani - tollererebbe che il capitano si bagnasse, e finanche si sporcasse, l'uniforme piuttosto che vederlo ritto e inappuntabile, ma immobile, sulla tolda di comando. Il sondaggio di Analisi Politica, l'istituto demoscopico diretto da Arnaldo Ferrari Nasi, che pubblichiamo oggi, ha dei dati che dovrebbero allarmare non solo il Quirinale, ma tutti i tribunali e le Camere e indurli a tentare al più presto un rimedio.
DA MONTESQUIEU IN POI
Il 77% degli italiani non si fida dei giudici al punto da ritenere che essi non dovrebbero più essere un potere autonomo, come previsto dalla Costituzione, e perfino da Charles Montesquieu ancor prima della rivoluzione francese, ma andrebbero controllati da un organo indipendente non composto da magistrati. L'88% non ne può più delle toghe e pensa che una profonda riforma del sistema della giustizia sia improcrastinabile. Questo malessere popolare non si giustifica solo con le disfunzioni, la lentezza e la farraginosità della macchina dei tribunali. Le metastasi dei tribunali non sono una novità, c'erano anche quando le toghe, sull'onda di Tangentopoli, hanno toccato il massimo della loro popolarità. Lo sfinimento, la sfiducia e la repulsione che accomuna la stragrande maggioranza degli italiani nei confronti della giustizia ormai è trasversale ai partiti e alle categorie economiche.
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È dovuta allo spettacolo offerto negli ultimi 25 anni da poche toghe, ma molto mediatiche. Governi caduti per inchieste finite nel nulla, reati perseguiti non per l'azione in sé ma per chi la commette, procure e tribunali che giudicano ministri con criteri opposti per un medesimo comportamento, pm che si indagano e si intercettano a vicenda. Il tutto mentre il cittadino, quando chiede giustizia, si sente abbandonato a se stesso. La condanna, ingiusta e giuridicamente taroccata, di Berlusconi ha fatto esplodere la magistratura, che ha perso il collante politico che la teneva insieme e si è divisa per partiti in lotta per un potere assoluto e autoreferenziale. Per questo gli italiani sentono il bisogno di commissariare la giustizia e i suoi protagonisti. È questo il rischio più grande per la democrazia.