Recovery Plan, Roberto Formigoni: "Facciamo vedere all'Europa che sappiamo spendere bene"
Puntuale come doveva essere, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è stato inviato dal governo alla Commissione di Bruxelles il 30 aprile, dopo l'approvazione del Parlamento. È stato in questi mesi l'impegno principale e personale dello stesso Draghi e di alcuni pochi ministri scelti da lui. Draghi ne ha più volte discusso con gli esperti della Commissione che dovranno esaminarlo, e dunque è praticamente certo che sarà approvato. Questo sbloccherà una cifra enorme di denaro che sarà messa a disposizione del nostro paese per aiutarci nella ripartenza dopo la pandemia. Draghi ha parlato di 248 miliardi di euro, ma con ogni probabilità altri se ne aggiungeranno, e circa 25 potrebbero arrivare prima dell'estate. Del totale che l'Europa metterà a nostra disposizione, circa 90 miliardi saranno sussidi a fondo perduto -e l'Italia è il paese che ne riceverà di piùgli altri saranno prestiti, cioè dovremo restituirli, ma in un periodo discretamente lungo e con tassi di interesse inferiori a quelli di mercato. È un'operazione straordinaria, che dimostra come l'Unione Europea sia profondamente cambiata nella sua filosofia e nelle sue politiche. Ora abbiamo un'Europa che si mostra solidale, e consapevole che si deve marciare uniti "nella buona e nella cattiva sorte". La cifra complessiva che l'UE stanzierà è di 750 miliardi di euro, neppure paragonabile a precedenti operazioni, e per essere espliciti chiariamo che le somme donate a fondo perduto saranno pagate da paesi che fino a ieri rifiutavano qualunque solidarietà. È veramente un cambiamento radicale, che dovrebbe finalmente mettere fuorigioco ogni pulsione antieuropeista! D'ora in poi sarà sempre lecito discutere scelte singole ed errori dell'UE (ce ne saranno ancora) ma basta con i predicatori del "fuori dall'Europa!".
Cambiare metodo
Ma torniamo a noi. L'errore più grande che possiamo commettere è pensare che, a questo punto e con un po' di pazienza, tutti i nostri problemi saranno risolti, e potremo continuare a comportarci, come Paese e come singoli, esattamente come prima, tanto paga l'Europa. Sarebbe il disastro, il declino italiano in atto da venti anni aumenterebbe di velocità e andremmo alla perdizione. Al contrario, questi stanziamenti immani, questa fiducia che l'Europa ancora ci mostra, devono obbligarci a cambiare ritmo, comportamenti, mentalità. Dovremo abituarci, e in fretta, a confrontarci con temi che abbiamo sempre ritenuto scomodi come concorrenza, competitività economica, aumento della produttività. Se in questi venti anni abbiamo clamorosamente perso posizioni nella classifiche europee e mondiali, se siamo diventati più poveri come Paese, la colpa è nostra, non dell'Europa!
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La vita comoda
E il perché è semplice, nessun governo ha fatto quelle riforme che gli altri paesi hanno fatto, perchè troppa gente non le accettava, preferiva rifugiarsi nel reddito di cittadinanza, preferiva una vita più comoda, consumando quel che le generazioni precedenti avevano accumulato senza aggiungere nulla di nostro. E così in venti anni il Prodotto interno lordo italiano è aumentato di un misero 7%, quello della Germania del 30%, quello della Spagna del 43%. E la produttività dell'impresa italiana, sempre negli ultimi venti anni, è aumentata solo del 4%, la media europea di oltre il 20%. Ma Maurizio Landini, segretario della CGIL, ancora in questi giorni invoca la pensione per tutti a 62 anni! È il modo più sicuro per attuare quella decrescita invocata da Grillo e dai 5Stelle, per ridurci in quella condizione di subalternità, di sottoproletariato straccione e protestatario che una certa sinistra sogna per imporre il suo potere. Al contrario, noi vogliamo che l'uscita dalla pandemia sia l'occasione per il riscatto del paese, non solo economico, ma anche morale e culturale. Gli italiani sono stati capaci di realizzarlo quando lo hanno veramente voluto, basta pensare al dopoguerra. Ma occorre un esame di coscienza e uno sforzo comune. Draghi ha fatto bene a citare in Parlamento quanto scriveva Alcide De Gasperi nel 1943: «L'opera di rinnovamento fallirà se in tutte le categorie, in tutti i centri, non sorgeranno degli uomini disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune». In quegli anni ce ne furono, di questi italiani, oggi quanti ce ne sono? Eppure bisogna che emergano. E bisogna trovarne di nuovi, formarli ed educarli per l'oggi e per il domani.È la sfida più importante.