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Pietro Senaldi in difesa del gioielliere di Cuneo: "La rapina è come uno stupro", perché è giusto sparare

Pietro Senaldi
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«Il mondo non è minacciato dalle persone che fanno il male ma da quelle che lo tollerano». È la frase autoassolutoria, rubata ad Albert Einstein, con la quale Mario Roggero, gioielliere 66enne del Cuneese, affronta quello che non dovrebbe essere, ma probabilmente sarà, il suo calvario giudiziario. Il commerciante è indagato per omicidio ed eccesso di legittima difesa dopo aver ucciso due rapinatori che erano entrati nel suo negozio minacciando lui, sua moglie e una figlia. Momenti veloci, dinamiche che sfuggono alla razionalità. Roggero è stato minacciato, derubato, traumatizzato dalla violenza inflitta alle sue donne, rapinato anche del diritto a vivere tranquillo e godere del frutto dei sacrifici del suo lavoro. Ha inseguito i delinquenti fuori dal negozio e ha sparato. «Era una condizione estrema, ho dovuto scegliere tra la mia vita e la loro, mi spiace molto per quanto successo» ha dichiarato, raccogliendo messaggi di solidarietà dal vicinato, che lo ha applaudito al rientro a casa e ha lanciato l'hastag #iostoconroggero, così che chiunque possa testimoniare su internet vicinanza all'uomo. Ora la procura indagherà. È giusto, visto che ci sono dei morti. Ma la comunità ha già assolto Roggero, e noi pure. In tanti si sono uniti alle parole dell'altra figlia, quella non coinvolta nella colluttazione, che parla di «una difesa coraggiosa della mamma da parte del papà» e lo esorta «ad affrontare di petto le difficoltà della vita». I giudici indagheranno quanto successo, se Roggero poteva evitare di uccidere, perché ha inseguito i malviventi, se poteva accorgersi che la pistola agitata davanti ai suoi famigliari era un giocattolo. Non è però dalla dinamica dei fatti che può venire la verità e arriva la nostra assoluzione.

 

 

DECISIONE DRAMMATICA
Il gioielliere era armato perché anni fa subì una rapina nella quale venne malmenato. Mercoledì, quando è stato aggredito nuovamente, aveva appena riaperto il negozio dopo mesi di chiusura. Immaginiamo il suo fatturato nell'ultimo anno. Ha visto i propri affetti più intimi umiliati, violati e picchiati. Non era andato al lavoro per sparare, ma illudendosi che per sopravvivere gli bastasse vendere qualche prezioso. Era nella sua bottega e non dava fastidio a nessuno. In un secondo si è visto crollare il mondo addosso: il rischio di perdere la famiglia, la propria vita, i propri denari. Aprire il cassetto della pistola anziché quello dei contanti è una decisione drammatica, che può essere l'ultima, non è come scegliere tra carne o pesce.

 

 

Roggero ha agito con freddezza ma sotto sequestro emotivo. Non importa se quando ha sparato non era più, magari da mezzo secondo, in reale pericolo di vita. Non sono choc che svaniscono in un attimo. E poi la rapina è equiparabile alla violenza fisica; anch' essa è uno stupro, ti priva di qualcosa di tuo, che hai sudato e perciò diventa intimo anche se è solo denaro. Per queste ragioni noi di Libero aderiamo all'hastag #iostoconroggero, perché potremmo trovarci un giorno al suo posto, ma mai invece al posto di chi lo ha aggredito. Le prime vittime di questa vicenda, «che non sarebbe mai dovuta accadere», sono il gioielliere e la sua famiglia, non i rapinatori, la cui sorte evoca pietà e dolore. Non sono qui in ballo il diritto di farsi giustizia da soli o di vendicarsi, che non esistono, ma l'aspirazione che la verità giudiziaria coincida con quella reale e che si tengano in dovuto conto le ragioni di chi per vivere non ritiene di dover derubare il prossimo.

 

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