Le confessioni di Formigoni: trionfi e cadute di un leader
La verità non è mai quella che credevamo di sapere. Vale anche per chi, come il sottoscritto, lo frequenta sin da liceale e ha sempre saputo che l'apparenza del corruttore gaudente, pur fissata da sentenze definitive e da fotografie caraibiche, è una tragica panzana. Roberto Formigoni, una storia popolare è un'autobiografia in forma di intervista con Rodolfo Casadei ( Cantagalli, pagine 536, euro 25). Il libro esce oggi. È una mole antonelliana, ha il peso di un blocco di marmo, e portarselo a letto è pericoloso (se ti casca sul petto sei morto), ma si sbocconcella con gusto, ed è pieno di sorprese. Non è un autoritratto a cavallo in pose da Gattamelata, leader solitario dall'inclemente destino, e che cerca una riabilitazione scolpendosi quale martire incompreso, ma è un bassorilievo che si svolge come un nastro, dove è narrata una storia il cui protagonista è una comunità coesa e qualche volta litigante, ma costantemente perseguitata, nata intorno a don Luigi Giussani. «Storia popolare», come dice il titolo, non si riferisce alla popolarità prima entusiasta e ora vituperata di questo lecchese oggi agli arresti domiciliari, ma al suo essere espressione di qualcosa che non attiene alla singolarità di un leader ma a un'esperienza esistenziale che coinvolse ai suoi inizi e per decenni decine di migliaia di giovani e che ha suscitato (e suscita) speranze vaste anche al di fuori del suo ambito.
DISTANZA CRITICA
Dire Comunione e Liberazione è sbagliato, se si crede di confinarla alla politica, di certo la presenza di quei ragazzi nelle università, scuole, piazze, giornali ha segnato tanti anni di vita italiana, salvandone negli anni 70 letteralmente la libertà, e ha trovato poi il modo di spingere alcuni suoi esponenti, che ne avevano la passione, a cercare consensi politici onde far star meglio la gente. Comunione e Liberazione ha sempre guardato, come si espresse costantemente don Giussani (1922-2005, ora servo di Dio) e ripete oggi il suo successore don Julian Carron (70 anni, spagnolo dell'Estremadura), con simpatia ma "distanza critica" chi appartenendo alle sue file si impegnava in politica, perché non è compito di un movimento ecclesiale trasformarsi in partito, e la responsabilità è sempre personale, ma resti figlio. Quando nel febbraio del 2019, Formigoni veniva consegnato alle patrie galere, Cl non ha rinnegato ma abbracciato come parte di sé Roberto. In una nota fece sapere: «"Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme" (san Paolo). In questo momento soffriamo insieme a Roberto... Nessuna prova può cancellare la compagnia che Cristo fa alla nostra vita, consentendoci di ricominciare sempre». Il cardinal Camillo Ruini ha voluto scrivere un'introduzione al libro. Ed è come se questo vescovo, novantenne e lucidissimo, che guidò la Conferenza episcopale italiana durante il pontificato di Giovanni Paolo II, stendesse la sua mantella purpurea sulla vicenda umana e politica qui raccontata: «Non è la storia di un uomo solo, ma è anche la storia di un popolo fortemente coeso, che cammina con lui. E insieme affrontano battaglie culturali e politiche, ora vincendo ora perdendo, ma sempre tenendo la rotta e riprendendo il cammino... L'impegno politico... viene vissuto come occasione per incontrare e condividere i bisogni delle persone». Detto questo, tocca occuparci di Formigoni, inteso proprio come lui-proprio-lui, la cui storia è formidabile. La sua avventura pubblica inizia quando aveva poco più di vent' anni, pestato in piazza, prima, poi al comando della più grande e ricca Regione d'Europa per 18 anni, con risultati eccezionali, altro che esperienza criminale.
IL BUON GOVERNO
Le 180 pagine in cui è raccontata la sua presidenza della Lombardia sono un manuale del buon governo. Si apprende che la riforma sanitaria che ha portato alla collaborazione organica il pubblico e il privato, garantendo a tutti i cittadini di poter accedere gratuitamente a strutture di eccellenza mondiale, è stata solo una delle numerose innovazioni oggi copiate da tutte le parti. Emerge anche che nel corso degli anni il governatore avvertiva come certi settori della sinistra e della finanza con addentellati editoriali gliel'avrebbero fatta pagare. Del resto la persecuzione caratterizza molta parte della navigazione del Formiga. Dicevamo degli anni 70. Aveva poco più di vent' anni, è nato nel 1947. Il movimento di Cl era giovane ma rompeva le scatole all'egemonia degli sprangatori nell'università. Dopo che una ragazza era stata gravemente ferita fuori dal Liceo Berchet perché colpevole di volantinare giudizi non conformi a Lotta continua, lui si recò sul posto. Ed ecco che accadde, c'ero anch' io, e francamente mi considerai morto. «I "compagni" del Berchet chiamarono altri dalle scuole vicine e cominciarono a minacciarci con spranghe e tirapugni. Battemmo in ritirata, ma alcuni di loro iniziarono a inseguirci mulinando armi improprie. Correvamo lungo via della Commenda, in giro non c'era un passante, e io ero quello che chiudeva la fila. A un certo punto all'angolo con via Lamarmora apparve un tram. Il conducente capì al volo la situazione, fermò il veicolo e aprì le porte, per consentirci di metterci in salvo. Mentre stavo salendo per ultimo fui afferrato per le gambe dagli extraparlamentari che volevano trascinarmi a terra, e per le braccia dai miei compagni che cercavano di tirarmi su. Fu un tira e molla che durò parecchi interminabili secondi prima che i miei amici riuscissero a issarmi sul tram e a far chiudere le portiere. Mi salvai dalle spranghe e dai tirapugni per un'inezia, ma nei giorni successivi mi arrivarono tre minacce di morte. E così il movimento assunse una guardia privata armata perché mi seguisse in tutti i miei spostamenti».
L'EROE DIMENTICATO
C'è l'elenco dei gambizzati e la storia di un poliziotto di Cl vittima dei brigatisti. Ritaglio solo questa pagina: «A Roma nel dicembre del 1979 venne assassinato il maresciallo Mariano Romiti, comandante della squadra di polizia giudiziaria del commissariato di Centocelle. I terroristi spararono in due al maresciallo che si trovava alla fermata dell'autobus e che cercò di mettersi al riparo senza rispondere al fuoco; tornarono al loro covo sconvolti, perché Romiti morente affidava insistentemente ad alta voce la sua anima alla Beata Vergine Maria. Gli portarono via la borsa, convinti che contenesse almeno la pistola di ordinanza e i proiettili, ma dentro trovarono solo la mela che era solito consumare a pranzo. In tasca invece aveva il rosario col quale pregava mentre andava al lavoro». Non se lo ricorda nessuno, questo eroe. Ce ne sono tante di vicende intime, mescolate a incontri con i leader, dai Papi a Saddam Hussein, Fidel Castro, fino all'amicizia con Cossiga. Un romanzo storico. Fino alle pagine straordinarie dedicate al primo dialogo coltissimo e semplice - tra poesia, teologia e politica - che si sviluppò tra Francesco Cossiga, allora ministro dell'Interno, e Luigi Giussani. Formigoni ne è ancora testimone stupefatto. Stralcio finale. L'ottimo intervistatore, Rodolfo Casadei, chiede: «Che progetti hai per il futuro?». Risposta: «Molti! Ma non è il momento di parlarne. Per ora ti dico degli auspici. Innanzitutto che finisca il prima possibile questo regime di detenzione domiciliare. Ma più ancora che venga fuori tutta la verità intorno a ciò per cui sono stato condannato, rendendo evidente che non meritavo alcuna condanna». Casadei: «Se tu oggi potessi parlare con don Giussani, cosa gli diresti?». Formigoni: «Se potessi parlare con Giussani sarei molto felice, perché vorrebbe dire che sarei in Paradiso con lui. Credo che sarebbe un incontro senza parole. Penso che prima mi inginocchierei davanti a lui e poi lo abbraccerei». Poi si corregge: «Mi abbraccerebbe lui per primo».