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Coronavirus, Filippo Facci: morire di fame o di Covid? Italiani a un bivio, ma i divieti non servono

Filippo Facci
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Si può morire solo da vivi, ma in Italia la differenza tra le due condizioni sta trascolorando in una zona che è non più rossa né arancione né gialla: è una zona grigia immutabile che non è buio né luce infondo al tunnel, è una vivida realtà primaverile in cui la scelta tra morire di Covid o morire di fame non sembra più una battuta, non sembra più un paradosso o una semplificazione inaccettabile.Ci sono un paio di verità che non abbiamo il coraggio di dirci, e la recentissima sospensione del vaccino di Johnson& Johnson – proprio ieri, con le prime dosi sbarcate in Italia – rende queste verità più evidenti perlomeno a chi è disposto a vederle. Una è che il treno delle vaccinazioni è passato, e non l’abbiamo preso. Abbiamo il dovere di non mollare, di corrergli dietro, di fare come se potessimo ancora saltare sull’ultimo vagone come nei vecchi film, e sia benedetto chi ci prova e ci proverà con tutto l’impegno possibile: quello che non possiamo più fare, però, è restare ad ammuffire in sala d’aspetto come se quel treno dovessero ancora annunciarlo. Non esistono soluzioni all’italiana: quel treno è andato – il treno che l’Inghilterra e altri paesi hanno preso, per dire – e certo passeranno altri convogli, e sarà così per tutti gli sforzi che intanto si continueranno a fare: ma per oggi, ripetiamo, quel treno è andato e tutti i vaccini che servono non ci sono o non ci sono stati, il famoso «vaccino italiano» non l’abbiamo sviluppato – con colpe che hanno nomi e cognomi, ma non è questo l’articolo – e comunque non c’è nessuna immunità di gregge all’orizzonte, nessuna data attendibile su niente, non c’è «domani»: c’è solo «oggi» e noi che all’oggi dobbiamo guardare, prima che un Paese muoia per eccesso di prevenzione.

 

 

 

L’arte di arrangiarsi

L’oggi in effetti basta guardarlo: è fatto di zone rosse che già non esistono più, perché nessuno le rispetta o rispetterebbe più, è fatto di gente che si arrangia e sopravvive solo perché qualche regola ha deciso di violarla, e magari lavora poco e male e di nascosto; l’oggi è fatto di gente che scende in piazza perché vuole lavorare e non smetterà più di scendere in piazza, è fatto di gente civilissima che non rispetta più la legge o che l’ha adattata alla realtà che ha imparato a conoscere in un anno e oltre di lockdown, interruzioni, riprese, ondate vere o presunte, promesse fatte con i granai ormai vuoti, e arte di arrangiarsi – quella sì –molto italiana, troppo italiana: quasi obbligatoria. È anche questo lo «scollamento» che c’è tra una larga parte della popolazione e le istituzioni, di cui parla qualche politico: nessuno è più disposto a regolarsi solo in base a punti di vista «scientifici» che ogni volta ci ricordano soltanto, con parole sempre diverse, che si muore perché si vive; nessuno è più disposto a vedere un fattore decisivo nella mascherina che copra bene il naso o in un Ibrahimovic che passi al ristorante di un amico; nessuno è più disposto a credere che tra morte virale o morte civile, rischio per rischio, non si possa scegliere anche la seconda, come altri paesi hanno fatto: magari cominciando a prospettare un timido crono-programma delle riaperture che dia almeno qualcosa di certo da attendere, preparare, scegliere, appunto programmare.

 

 

 

Provare a convivere

Dicono che Mario Draghi l’abbia capito, che stia rompendole scatole al farraginoso Comitato Tecnico scientifico affinché prepari dei protocolli per le prime riaperture; dicono che da metà maggio si potrà andare al ristorante anche la sera, dicono che qualche arcigno virologo abbia detto che uno spettacolo all’aperto si potrebbe anche contemplare, dicono che qualche farmaco l’hanno anche inventato, che le cellule monoclonali funzionano, che le terapie intensive traboccano di gente ma non certo come un anno fa, dicono che persino una gran parte degli italiani abbia capito che non si può campare di sostegni che peraltro non sostengono. Dicono – anzi, è l’unica cosa certa – che la stagione calda si avvicina e ci darà tregua: e approfittarne all’eccesso sarebbe un suicidio, ma blindarsi nel terrore sarebbe anche peggio. Dicono e ci hanno sempre detto, insomma, che a convivere col Covid dovremmo abituarci: ecco, forse siamo pronti.

 

 

 

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