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Filippo Facci e l'assoluzione di Guido Bertolaso: una sentenza arrivata dopo troppi anni

Filippo Facci
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Pure il garantismo ha i suoi luoghi comuni e le sue formulette imparaticce, tipo questa: «Chi gli restituirà l’onore perduto? Chi glielo restituirà dopo lo sputtanamento (sociale, familiare, professionale, mediatico: a scelta) fatto da chi lo sottopose a questo e a quello? Sono luoghi comuni inevitabili e non esiste retorica che si possa trascurare, ovvio, perché trattasi di riflessi civilmente e umanamente imprescindibili nei confronti di chi - in Italia - finisce sotto processo per un nonnulla e soprattutto per tanto, troppo tempo. Ebbene, per Guido Bertolaso lasciatecelo dire: neanche servirebbe, neanche serve. Si potrebbe anche non riscriverli, questi luoghi comuni, si potrebbe anche non dare la notizia che lui e l'ex capo della Protezione Civile Angelo Borrelli sono stati assolti dalla Corte dei Conti e che perciò, quando spostarono il G8 dalla Maddalena all'Aquila dopo il terremoto dell'Abruzzo nel 2009, non provocarono nessun «danno erariale» alle finanze dello Stato. Perché sapevamo già tutto. Si sapeva già tutto.

 

 

 

Sapevamo, pure, che nessuna istituzione, nessuna magistratura o nessun giornale gli avrebbe chiesto scusa. Sapevamo che lui non le avrebbe pretese. Sapevamo, anche, che questa vicenda processuale, anche da irrisolta, nel prestigio acquisito da Bertolaso e negli incarichi che l'hanno richiamato all'azione non avrebbe pesato un solo milligrammo. Sapevamo che i poveracci del Fatto Quotidiano non avrebbero dato la notizia dell'assoluzione (ora sono concentrati su Mario Draghi, maledetto: non è ancora inquisito) e sapevamo che gli unici che ci avrebbero provato, a dare un peso specifico a ciò che non ne aveva, sarebbero stati ancora loro, per esempio nel febbraio scorso: «Il super Bertolaso è ancora accusato di danno erariale», titolava il Fatto del 5 febbraio, come a voler intaccare la fiducia di cui ha sempre continuato a godere questo personaggio che non è mai appartenuto ai clan perdenti che altri sostenevano. Se in Italia si scommettesse su tutto, come fanno gli inglesi, Travaglio e company sarebbero un riferimento fisso per i bookmakers: chiunque loro sostengano, si sa già che perderà rovinosamente. Puntare tutto sui loro avversari.

Tornando a Bertolaso e alla sua assoluzione, il suo caso è la dimostrazione estrema di come in Italia certe inchieste e persino sentenze della magistratura non facciano più status - a meno che t' arrestino o ti costringano a dimetterti da qualcosa - e questo non perché noi siamo definitivamente un Paese di incivili, e neppure perché siamo solo un Paese di tifosi e ignoranti dello stato di diritto (come in parte è vero) rispetto ad altri paesi dove giustamente - si rileva - basta un'ombra per farti dimettere da qualsiasi incarico. Il punto è che nessun paese ha una magistratura come la nostra, invasiva come la nostra, ormai sputtanata come la nostra, eppure politicamente usata come un'arma: come è la nostra.

 

 

 

 

L'assoluzione di Bertolaso è arrivata il 31 marzo, ma ha avuto scarsissima eco. A portarla alla ribalta ci ha pensato Il Messaggero che ha sottolineato le lungaggini del procedimento (sai la novità) finito in appunto nulla. Dalla più ampia indagine sui grandi eventi gestiti dalla Protezione civile, andata in parallelo con l'indagine penale, del resto Bertolaso era già stato assolto: «Il fatto non sussiste». Ma il Fatto sussiste, e insiste, poveracci loro, che prosperano sulle disgrazie altrui e forniscono sempre colpevoli nuovi di zecca per ogni rinnovato disagio sociale. «Anche questa vicenda giudiziaria, come le altre che si sono concluse nello stesso identico modo, non doveva neppure iniziare»: parole di Bertolaso a cui non ci sarebbe nulla da aggiungere, se non che la Corte dei Conti ha voluto riconoscere a Bertolaso anche un indennizzo economico per gli 8 anni d'inutile gogna subita. Non doveva iniziare: era questa la percezione comune, e non serviva essere particolarmente informati per arrivarci. Così come non serve, nella miglior tradizione del garantismo retorico, chiedersi se per questo processo inutile, per i soldi buttati, per certa monnezza trascritta sui giornali, qualcuno ora pagherà.

 

 

 

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