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Pietro Senaldi su Carlo Calenda: critica Mario Draghi e sale nei sondaggi. Ma rischia: ricordate Renzi?

Pietro Senaldi
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Bravo probabilmente lo è anche, il guaio è che è così convinto di esserlo che, quando parla, la supponenza che emana oscura ogni sua competenza. Forse è anche per questo che, malgrado lavori come un matto tra Bruxelles, quartieri romani e salotti tv, il suo partito, Azione, resta sempre sul punto di decollare. Ma ora che Salvini e Letta si sono incontrati per fare pace in nome del bene del Paese e della sopravvivenza di Draghi almeno fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica che nei progetti dei due leader sarà preludio alle Politiche, per Calenda il sentiero si allarga.

In effetti è da qualche settimana che all'unico candidato sindaco di Roma sicuro di presentarsi al giudizio degli elettori le cose vanno meglio. Dopo un anno inchiodata sotto il 3%, Azione ha guadagnato quasi un punto. È il solo partito che sale, con Fratelli d'Italia, e le ragioni però sono simili. Fdi ha fatto il botto perché è l'unica forza all'opposizione. Azione specula sul fatto di essere l'unica voce a sinistra che osa criticare Draghi, secondo lo slogan «sostenere il governo non vuol dire spegnere il cervello», coniato dal fondatore. E in effetti Calenda non risparmia randellate al premier, per esempio giudicandone la conferenza stampa successiva all'ennesimo giallo sul vaccino Astrazeneca «vaga, confusa e priva di una tabella di riaperture».

 

 

 

 

Vagli a dare torto; anche perché l'europarlamentare ex Pd non si limita alla critica. Da giorni ripete che «si può riaprire tutto entro il 15 maggio» se per quella data saranno stati vaccinati i settantenni e le persone fragili. Si tratta di una platea di undici milioni di persone ancora da inoculare che però, stando alle promesse quotidiane del generale commissario Figliuolo, per quella data dovrebbero aver tutte ricevuto l'iniezione salvifica. Certo, per Calenda fare il grillo parlante è facile. Guida un partito agile, per non dire totalmente ininfluente in Parlamento e senza posti di responsabilità al governo né nelle Regioni. Così può dare pagelle a tutti senza che nessuno lo possa valutare.

L'ultima bocciata di mister "so tutto io" è la Puglia, «la peggiore nella profilassi anche perché qui sono avvenuti i casi più assurdi di vaccinazioni ad altre categorie». Ma con Emiliano il leader di Azione ha ruggini personali risalenti ai tempi in cui lui era ministro dello Sviluppo e il governatore gli voleva statalizzare l'Ilva, o chiuderla, che è poi la stessa cosa. Cannoneggiare costa poco al corpulento leader, secondo il quale «se la Commissione Ue fosse un governo vero si sarebbe dovuta dimettere da tempo per l'inadeguatezza mostrata sui vaccini». Altro giudizio severo ma giusto. L'ex manager presenta progetti perfetti in apparenza per rilanciare il Paese economicamente e uscire dalla pandemia ma, siccome nessuno se li fila, non rischia mai di essere smentito alla prova dei fatti.

 

 

 

A starlo a sentire, tutto sembra facile, e forse questo è il punto debole di Calenda: semplificare va bene, ma se ci riuscisse senza far passare tutti per cretini, la gente non penserebbe che, se già si dà così tante arie ora che non conta nulla, figurarsi se per caso prende il potere. L'uomo rischia l'effetto Renzi senza neppure passare da Palazzo Chigi. Sarebbe una disdetta perché di idee buone il pariolino ne ha e la sinistra ha già saputo voltare le spalle una volta alla nomenklatura dem per tentare di diventare finalmente progressista. Il problema però per Carlo è il carattere ancora più di quanto non lo fu per Matteo.

Al secondo la brutta tempra è stata letale per andare avanti ma il primo rischia addirittura di non partire per la sua strafottenza. Il motivo di tanto agitarsi è che il leader di Azione è in campagna elettorale da oltre un anno: si candida a Roma per scalare il Paese e la sinistra. Vuole tentare quello che riuscì a Rutelli. L’ex Cicciobello guidava Il Sole che Ride quando andò al Campidoglio e trasformò l’1% della minuscola forza nell’8% della Margherita. Se io divento sindaco, pensa Calenda, Azione sale dal 3% al 15, supera il Pd e io comando. Fuori dal Palazzo la maggioranza chiamerebbe gli infermieri sentendo il ragionamento.

Al Nazareno però l’europarlamentare ex dem fa paura. Perciò il Pd pensa di opporgli Gualtieri nella corsa a sostituire la Raggi. Tra i due sarebbe un derby, ma del centro storico, mentre la vera stracittadina se la giocherebbero Virginia e il candidato di centrodestra, sempre che la Meloni lo individui. Per provare a penetrare oltre Porta Pia, Calenda talvolta girale periferie ispezionando tombini, ma quando va sul popolare non è un drago, e neppure una faina. L’ultima avventura è stata la polemica con un blogger capitolino che si fa chiamare come il predatore in questione, reo di averlo criticato per aver mollato il Pd dopo essersi fatto eleggere a Bruxelles. L’ex ministro gli ha risposto con un video in romanesco che sembrava una parodia. Se si fosse fatto doppiare da Toninelli, gli sarebbe venuto meglio. Questo il punto: Carlo ama troppo se stesso e guarda troppo poco gli altri per sfondare. 

 

 

 

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