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Mario Draghi, ecco chi gli detta l'agenda: la prova, un premier succube dell'Europa?

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Francesco Carella
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Il provincialismo con cui vengono presentati alcuni passaggi politici in Italia rasenta non di rado il senso del ridicolo. Dacché Mario Draghi è stato chiamato alla presidenza del Consiglio non è passato giorno senza che le cronache ne parlassero non solo come colui che avrebbe risolto la crisi pandemica ed economica, ma anche come il prossimo deus ex machina della scena europea. A stretto giro, a conferma che la nostra classe dirigente preferisce le fantasie alla realtà, è arrivato il vertice in video-conferenza fra Vladimir Putin, Emmanuel Macron e Angela Merkel. All'ordine del giorno i dossier al momento più scottanti, dai futuri rapporti fra Mosca e Bruxelles alle situazioni in Bielorussia, in Ucraina e in Libia, ma soprattutto è stato affrontato il problema dell'utilizzazione del vaccino russo, per uscire dal guado in cui sono precipitati i Paesi europei a causa di una sciagurata gestione degli acquisti da parte della Commissione.

 

 

Ovviamente, il nostro capo del Governo non ha ricevuto nemmeno un invito in qualità di uditore. Purtroppo, quel che sta avvenendo in queste settimane non rappresenta nulla di inedito. Quanto accade è del tutto riconducibile a una storica e cattiva abitudine del nostro establishment politico-culturale che preferisce alla narrazione rigidamente ancorata ai fatti "l'invenzione della realtà". Un esempio per tutti. Ancora oggi sfogliando alcuni manuali di storia è possibile leggere che il fascismo sia stato sconfitto dalla Resistenza e che le nostre istituzioni democratiche, all'indomani del Secondo conflitto mondiale, siano nate per volontà dei Costituenti. Solo a margine si accenna al ruolo svolto dalle Armate anglo-americane sul terreno militare e alla funzione costruttiva "dell'imperialismo democratico", progetto elaborato dal presidente Delano Roosevelt per l'Europa. Raymond Aron ricorda che «la politica estera di un Paese rivela la cultura, la mentalità, nonché le debolezze di una classe politica».

 

 

I motivi della debolezza italiana sul piano internazionale sono noti e derivano per gran parte dalla protezione garantita, a partire dal Dopoguerra, dagli Stati Uniti e dall'Alleanza Atlantica. In ragione di ciò, la nostra classe dirigente non ha mai fatto propria la lezione del realismo secondo cui, per dirla con le parole di Hans J. Morgenthau, «la politica internazionale è lotta per la potenza, mentre la pace è il portato di un costante equilibrio fra la sfera della politica e la sfera della forza». In Italia - a differenza degli altri Paesi dell'Unione che una tale lezione l'hanno maturata da molto tempo traendone le dovute conseguenze - coloro che sostengono che il ruolo principale di chi ha la responsabilità di governo sia quello «di tutelare gli interessi politici ed economici della propria nazione» vengono presentati come deprecabili sovranisti. Meglio continuare a sognare, magari illudendosi che il proprio presidente stia per mettersi alla guida di un rinnovato progetto europeo. Attenzione, però, al risveglio.

 

 

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