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Vittorio Feltri a valanga contro Eugenio Scalfari: "Sbaglia l'uccello e deride un morto", come è nata Repubblica

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Eugenio Scalfari qualche giorno fa ha raccontato la gestazione e il parto della sua principale e notevole creatura: la Repubblica. La quale vide la luce nel 1976, quando io lavoravo al Corriere d'informazione. Ricordo che i primi numeri del novello quotidiano erano scialbi, incerti e senza spessore, inadatti a fare concorrenza al Corsera, saldamente in mano al direttore Franco Di Bella. Noi redattori li sfogliammo distrattamente concludendo che quel prodotto non sarebbe andato molto avanti. Sbagliavamo. Infatti esso lentamente, ma neppure troppo, e faticosamente riuscì a conquistarsi una piccola fetta di mercato. Poi esplose, e più avanti spiego come e perché. Scalfari nel rammentare la sua prodezza editoriale accenna alle iniziali difficoltà economiche. Per fare esordire la Repubblica, il fondatore si impegnò in una sorta di giro delle sette chiese finalizzato a raccogliere i fondi necessari: 5 miliardi di lire. Bussò anche alla porta di Angelo Rizzoli, non il vecchio bensì il giovane. Il quale ricevette Eugenio sia nella casa di Roma sia in quella di Milano. Durante la seconda visita, nella dimora ambrosiana, Scalfari ebbe una accoglienza singolare. Egli narra di essersi imbattuto in un pappagallo che dava  tranquillante dello str***o al padrone dell'appartamento. La cosa lo raggelò, e posso capirlo.

 

 

 

 

 

Tuttavia devo precisare che Angelone non ha mai posseduto un pappagallo, semmai un merlo indiano che aveva acquistato da un farmacista in fin di vita in quanto affetto da un tumore. Primo e veniale errore. Poi il grande direttore liquidò il proprietario dell'uccello senza pietà e senza rispetto, scrivendo che costui si avventurò in una serie di imbrogli finanziari, gestiti dalla P2, che lo rovinarono. E questo secondo errore non è veniale. Infatti Angelo fu travolto da ben sei procedimenti giudiziari da cui dopo vari anni fu completamente assolto. Non solo, a lui la proprietà del Corriere della Sera, che il padre Andrea aveva comprato per 200 miliardi anziché 60, l'autentico valore, fu sottratta con destrezza: glielo pagarono 15 miliardi, una miseria, accettata dal padrone del vapore per disperazione. Rizzoli fu vittima di pescecani, non era un delinquente. Ecco la realtà. Quanto al successo di Repubblica fu agevolato dal montatissimo scandalo P2, i cui effetti negativi ricaddero sul Corriere, parecchie copie del quale - ingiustamente sputtanato - passarono a Scalfari. Io ero un redattore di via Solferino e rendo testimonianza. Quindi direttamente o indirettamente il condottiero del primo giornale maneggevole italiano deve gratitudine ad Angelone, che gli ha lasciato davanti una prateria di lettori, altro che dileggiarlo per il pennuto, le cui abitudini personalmente conosco, in quanto, nel momento in cui Rizzoli finì in carcere (senza colpe) il volatile fu adottato da Indro Montanelli, che lo teneva in un gabbione nella anticamera del suo studio in via Negri. Nella quale un giorno entrai anch' io in attesa di intervistare il papa dei pennini italiani. Il merlo indiano non si limitò a insultarmi, mi disse altresì di andare a fare in culo. Scoppiai in una fragorosa risata e un pensiero volò ad Angelone cui rimango grato per avermi assunto al Corriere con uno stipendio allora invidiabile. Non ce l'ho con Scalfari che si rivela debole nelle ricostruzioni storiche e delle proprie vicende, però trovo sia poco elegante approfittare della circostanza che un uomo sia morto per prenderlo in giro. Rizzoli era persona gentile, generosa e colta. E non merita altro che stima e simpatia.

 

 

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