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Paolo Becchi, come e perché è tornato il Medioevo: i drammatici "effetti collaterali" del coronavirus

Paolo Becchi
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A un anno di distanza dallo scoppio della pandemia qualche prima riflessione andrebbe fatta. Non ne siamo ancora fuori ed è ancora difficile prevedere come e quando ne usciremo. Sarà il governo a deciderlo, appena le vaccinazioni avranno raggiunto un certo numero. Possiamo però gettare anzitutto uno sguardo retrospettivo. E la prima constatazione da fare è che, nonostante tutto, viviamo, o meglio sopravviviamo, rassegnati al nuovo lockdown pasquale, dopo aver subìto quelli vecchi e sconfortati all'impatto quotidiano del bollettino dei morti per l'ora del vespro.

Nell'epoca della civiltà tecnologica e biotecnologica abbiamo reagito, tutto sommato, come ai tempi della peste: rigorosa divisione spaziale in settori, chiusura della città, interdizione di uscirne. E poi: suddivisione della città in quartieri separati, provviste per ogni famiglia, quarantene, ispezioni, controlli. Così si trattava la peste, come raccontato in pagine essenziali da Michel Foucault in "Sorvegliare e punire", in cui viene descritta minuziosamente "l'ossessione dei contagi" e pertanto "la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli dell'esistenza, del regolamento." Un solo medico posto a sorveglianza, perché "nessun altro sanitario può curare, nessun farmacista preparare i medicamenti, nessun confessore visitare i malati i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati". Conclude Foucault: "il rapporto di ciascun individuo con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere". Pagine attualissime da rileggere oggi.

Così trattiamo anche oggi la pandemia: chiusi in casa, disinfestazione degli ambienti, trattamento brutale di malati e cadaveri e tutti i movimenti controllati. Ci sciacquiamo la bocca con transizioni ecologiche, idrogeno verde, fusione nucleare, rivoluzione digitale, sviluppo sostenibile, robotica, automazione, ma per sconfiggere la "guerra contro il virus" abbiamo applicato metodi medievali come il confinamento, l'abbandono terapeutico e le cremazioni forzate. E ad un anno di distanza continuiamo, più o meno, a fare le stesse cose.

 

 

 

 

Lo si è fatto, e lo si continua a fare - lo si ripete sino all'esaurimento delle forze - per "salvare vite". Non voglio qui ritornare su questo punto. Per chi voglia, ateo o credente, mediti su Luca 9, 24. Ma non siamo neppure riusciti in questo, voglio dire a "salvare vite": 100.000 cadaveri, nonostante un lockdown più lungo di quello cinese e oggi si va avanti così al ritmo di 400 decessi in media al giorno. Non mi interessano qui le polemiche, ma non bisognerebbe ammettere che qualcosa non ha funzionato? Possibile che venga sistematicamente rifiutata e censurata qualsiasi discussione pubblica su ciò che è successo in questo anno di pandemia? Eppure di cose ne sono successe tante. Una per tutte, il sacrificio di una intera generazione, o forse più generazioni che non sanno cosa sia un contatto umano, una scuola o un'università. I nostri vecchi sono morti e se abbiamo sacrificato il nostro passato, non siamo neppure riusciti a salvaguardare il nostro futuro, i giovani. A un anno di distanza, se vogliamo esser onesti, il bilancio è - per lo meno dal punto di vista umano - fallimentare. Nessun dubbio invece che dal punto di vista di quello che Foucault chiama il “potere governamentale” il risultato sia eccellente: “Centomila morti e nonostante ciò riusciamo ancora a tenerli chiusi in gabbia, che vogliamo di più?”.

 

 

 

 

C’è, poi, un disagio esistenziale profondo che ci ha colpito. Siamo tutti - sani o malati - invecchiati di colpo. Sui muri di via Balbi - la strada del Polo umanistico di quella che un tempo era l’Università genovese - c’era una volta un deprimente graffito anarchico: “produci, consumi e crepa”. Il lavoro in fabbrica, il consumo a casa o dove vuoi, e poi tiri le cuoia. A parte forse il crepare, oggi il sistema si è perfezionato: ti svegli, lavori, mangi, lavori, mangi di nuovo, guardi la televisione e dormi, sì perché con il glory holes ti è scappata persino la voglia di fare l’amore. E comunque fai tutto da casa. L’unica cosa che non si può fare da casa è proprio morire - a meno che uno non decida di spararsi un colpo in bocca - perché in tempo di Covid il tuo destino è di crepare solo come un cane in un letto di ospedale.

Chiusi in casa, davanti al computer, senza mai poter stringere una mano, abbracciare un corpo: abbiamo metabolizzato nuovi comportamenti che sono diventati parte di noi stessi. Ci siamo adattati a vivere e a fare le cose in un’altra maniera. Un esempio personale: far lezione di fronte a uno schermo vuoto, parlare per ore senza sapere chi c’è dietro quel vuoto. E se non ci fosse nessuno? La chiamano didattica a distanza,io però non vedo che cosa ci sia di didattico in questa distanza. A volte dico “scusate, qualcuno si faccia almeno vedere sullo schermo”, ma ho quasi timore a dirlo perché a lezione ci sono troppe studentesse e non vorrei essere frainteso. Siamo rassegnati, ma ora è grande l’attesa per il vaccino. Affidiamo tutte le nostre speranze a una vaccinazione di massa che sarà risolutiva. E così, dopo aver passato un anno in un’emergenza permanente, ora essa deve continuare, nell’attesa che il vaccino salvifico faccia il suo effetto.

E la disperazione diventa totale quando ci accorgiamo che la guerra contro il virus si è trasformata in una guerra tra vaccini, che ha portato a sospendere il vaccino inglese che costa pochissimo e favorire quello americano che costa un capitale, occasione tra l’altro propizia per alimentare un po’ il panico. Solo per qualche giorno, per tener viva la tensione. Poi tutto può ritornare come prima. L’ha detto l’Ema. E qui siamo, si direbbe prima facie, decisamente fuori dal Medioevo: allora l’Ema ei vaccini non c’erano e il capitalismo doveva ancora svilupparsi.

Lo sviluppo delle forze produttive di marxiana memoria ci ha fatto produrre vaccini in poco meno di un anno. Potenza della tecnica. “Il vaccino ci dice che il comunismo è una necessità storica”. Al posto di “comunismo” potete scrivere “globalismo” e va bene lo stesso. La fede in Dio può essere sostituita dalla fede nella scienza. Ci siamo venduti l’anima per un vaccino. Sia chiaro, non si confonda questo discorso con un discorso contrario ai vaccini - che anzi mi auguro possano essere benefici.

Ciò che mi interessa è l’aspetto più profondo della vicenda: è la tecnoscienza che in forma biopolitica ha preso il posto della religione, per questo, infondo, consideriamo i vaccini come la nostra unica possibilità di salvezza. Certo salvezza non più delle nostre anime, ma dei nostri corpi. Eppure, a ben riflettere,infondo non c’è contraddizione tra vecchia fede e nuova bio politica. Tecnica e religione, capitalismo e atteggiamento fideistico, scienza e superstizione, non sono tutte facce della stessa medaglia? Il Medioevo non è mai finito. O forse è ritornato in forme nuove.

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