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Romano Prodi al Quirinale, ecco come leggere le provocazioni di Enrico Letta a Matteo Salvini: il retroscena di Antonio Socci

Antonio Socci
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Ieri Repubblica, giornale storicamente vicino al Pd, presentava così una lunga inchiesta su quel partito: «Anatomia del Pd, un partito in crisi permanente e mai nato davvero. In 14 anni ha cambiato nove segretari e subìto sei scissioni. Più volte sul punto di implodere, è sempre riuscito a rialzarsi. Dopo Zingaretti ci prova Letta, ma non ci sarà un'altra occasione». Non sembra la fotografia di un partito che scoppia di salute. Forse scoppia e basta. Se non è ancora deflagrato è perché, da anni, sta quasi sempre al potere che è il suo «unico collante» secondo un intellettuale di area come Cacciari («non hanno strategia, non hanno un'anima»). Zingaretti in effetti si è dimesso con queste spietate parole: «Nel Pd si parla solo di poltrone. Mi vergogno». Con Enrico Letta il Pd è ancora quello di prima. D'altronde lui non proviene dalla società civile, né dalla periferia (come fu per Renzi). È da sempre parte dell'establishment: è stato perfino premier, ma di un governo talmente spento che fu affondato dallo stesso Pd (lui fu sostituito, appunto, con Renzi). Da quando è segretario, Letta non sembra molto interessato ai problemi degli italiani, prostrati dalla pandemia e dai lockdown: lo dimostra la sua polemica con la Lega sul problema delle cartelle esattoriali e sulla riapertura del Paese.

 

 

SEGNALI
I segnali che ha mandato (dallo Ius soli per i migranti, all'Erasmus obbligatorio per gli studenti, alle quote rosa nel partito) sono - a giudizio di esponenti del suo stesso Pd - lontani anni luce dai problemi veri della gente comune. Sembrano servire piuttosto per lotte di potere interno (le quote rosa) o a scopo identitario (lo Ius soli). In effetti la scelta strategica di Letta sembra proprio la polemica continua contro Salvini e la Lega, una polemica che però rischia di destabilizzare lo stesso governo (e Draghi glielo ha detto chiaramente). Perché questa conflittualità? Per assecondare i mal di pancia dei piddini che ancora rosicano per l'abbattimento del governo Conte? Può essere. Ma c'è dell'altro. Per trovare un'identità tramite l'odio per un "nemico"? Forse, ma con quel "nemico" oggi il Pd governa. Si potrebbe dunque dire che Letta non è ancora sintonizzato col nuovo clima di "unità nazionale", voluto da Mattarella e Draghi. Ma ciò accade perché questa "unità nazionale" non conviene allo scopo primario che egli persegue. Il suo attacco continuo (e pretestuoso) alla Lega è una polemica che ha una spiegazione specifica: la corsa Quirinale. Dopo Tangentopoli, con la fine dei partiti storici, le realtà che nel Paese hanno avuto più potere sono state da una parte (ovviamente) la Magistratura e dall'altra la Presidenza della Repubblica.

 

 

In seguito, un peso decisivo, nelle questioni italiane, è stato acquisito dalla Commissione europea e dai cosiddetti Mercati. Tra nove mesi si dovrà scegliere il nuovo presidente della Repubblica e il Pd ritiene vitale eleggere ancora, per sette anni, un suo uomo (o uno di area) come è sempre riuscito a fare. Il candidato principale di Letta è Romano Prodi. Però gli attuali equilibri politici - di unità nazionale - sono incompatibili con l'elezione di Prodi che risulta altamente divisivo. Se quasi tutti i partiti presenti in Parlamento collaborano nell'esecutivo Draghi, a maggior ragione il nuovo Capo dello Stato, che di per sé deve rappresentare proprio l'unità del Paese, deve essere scelto di comune accordo. Oltretutto il Pd rappresenta solo il 18 per cento e negli ultimi decenni ha sempre eletto suoi uomini al Quirinale, quindi ora dovrebbe passare la mano. Il candidato naturale al Quirinale oggi è proprio il premier del governo di unità: Draghi. Il quale però non sarebbe graditissimo al Pd, perché non è dei suoi e anche perché spostarlo da Palazzo Chigi al Colle più alto porterebbe alle elezioni anticipate che il Pd considera una sciagura. Inoltre Draghi - nel tramonto della leadership tedesca della Ue - sta assumendo un ruolo sempre più importante in Europa e secondo alcuni questo dovrebbe indurre tutti a lasciarlo lavorare a Palazzo Chigi: «I tanti che meditano su Draghi capo dello Stato» ha scritto Stefano Folli «dovrebbero considerare quanto sarebbe più significativo vedere l'Italia di nuovo protagonista in Europa». Non pare un argomento molto convincente, ma il Pd lo userà.

 

 

I NOMI IN CORSA
La soluzione naturale che il Pd potrebbe prospettare sarebbe dunque la riconferma di Mattarella, che però, a quanto pare, non è disposto a un nuovo settennato, ma, al massimo, a un mandato a tempo limitato (quasi due anni) come fu per Napolitano. Cosa che però significherebbe far eleggere poi il nuovo presidente dal nuovo Parlamento che presumibilmente sarà a maggioranza di centrodestra. Letta ha dunque iniziato le grandi manovre per il Quirinale in questo contesto. Gli attacchi alla Lega hanno probabilmente questa spiegazione: impedire che si consolidi un clima di unità nazionale o - come obiettivo subordinato - provocare Salvini in modo da farlo reagire e, alzando la tensione politica, causare una rottura fra Lega e Forza Italia, con la speranza di portare Forza Italia dalla sua parte. Solo che è pressoché impossibile che Berlusconi possa votare Prodi per il Colle. In questo caso il Pd passerebbe a un altro suo candidato (forse Franceschini), ma è facile che in questo guazzabuglio possa infilarsi il più abile dei tessitori, Matteo Renzi, che potrebbe sfilare il volante - ancora una volta - a Letta, giocando una carta che potrebbe andar bene pure al centrodestra (o a una parte di esso): Pierferdinando Casini. Come diceva Montanelli, se son rose sfioriranno.

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