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Mario Draghi, occhio rivolto agli Stati Uniti: il confronto sull'emergenza che non vuole perdere

 Mario Draghi

Paola Tommasi
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In Europa si continua a far confusione. Non solo i 750 miliardi del Recovery Fund non sono ancora stati spesi ma la Corte Costituzionale tedesca ne ha anche bloccato la ratifica, quindi l'assegnazione ai Paesi. Nonostante tutto questo, e pur non avendo visto ad oggi neanche un euro, Italia e Francia già chiedono lo stanziamento di ulteriori risorse. Come se le precedenti fossero progetti già realizzati e di successo, mentre sono in ballo da quasi un anno ma solo a livello di chiacchiera da bar. Probabilmente la proposta nasce più per ambizioni personali dei leader dei due Paesi, Draghi e Macron, pronti a disarcionare la regina d'Europa Angela Merkel il prossimo settembre approfittando delle sue crescenti difficoltà politiche interne, che per effettive motivazioni economiche. 

 

Tanto più che la potenziale erede della Cancelliera, Ursula von der Leyen, è già precipitata sotto il peso degli errori sui vaccini. E poi perché soprattutto Mario Draghi, che ha sempre un occhio rivolto Oltreoceano, proprio non vuole perdere il confronto con gli Stati Uniti che di miliardi di dollari in campo per l'emergenza virus, a quasi parità di popolazione beneficiaria, ne ha già messi in circolo 6.000, otto volte quelli dell'Europa, con altri 3.000 probabilmente in arrivo a breve. Per di più con l'aggravante che negli Usa sono già giunti nelle tasche degli americani mentre in Europa ancora aspettiamo. Ed è per questo che anche il Recovery Plan italiano, da consegnare entro aprile, potrebbe slittare ed è ancora tutto nella mente del ministro dell'Economia Daniele Franco. 

Sia in Ue che nel nostro Paese, dunque, si parla tanto ma si conclude poco. E ripartenza, ripresa e resilienza restano ancora una volta pie intenzioni. Con il Consiglio europeo di questa settimana, poi, si è andati addirittura oltre con i sogni, discettando di Eurobond, di rafforzamento dell'euro come moneta e di allentamento delle regole sul debito pubblico stratosferico. Tutti argomenti sacrosanti ma che sappiamo l'Europa non è in grado di affrontare seriamente fino a giungere a un punto definitivo. Conoscendo i meccanismi dell'Ue, però, già il fatto che siano stati posti all'ordine del giorno, potrebbe essere interpretato, per chi vuol crederci, come un segnale positivo. Probabilmente effetto della innovativa presenza proprio di Mario Draghi. È stato infatti lui a porre temi fino ad ora accuratamente evitati, iniettando una nuova dose di fiducia e offrendo una prospettiva oltre l'emergenza, che mancava da tempo. 

Ed è proprio alla riunione dei capi di Stato e di governo Ue che si è visto quanto il nuovo premier italiano sia più a suo agio nei tavoli internazionali a parlare di strategie per il futuro piuttosto che alle riunioni di maggioranza a sbrogliare questioni di lana caprina, specie quando incalzato dalla Lega. Più proiettato sul lungo periodo, anche ponendo obiettivi sfidanti sui quali insistere, a costo di risultare ripetitivo, con i partner europei riluttanti, che sugli scambi di battute giornalieri dei politici italiani, ai quali riserva al massimo cortesi sorrisi. 

 

Anche al segretario del Pd Enrico Letta, la cui strategia ormai sembra essere quella di scimmiottare Salvini rintuzzandolo, sperando così di racimolare consenso e magari vivere di luce riflessa. Così come, sempre Draghi, pare più bravo a negoziare vaccini per l'intero Vecchio Continente con colleghi che conosce da tempo piuttosto che a fornire sostegni economici alle imprese italiane. Ma forse è proprio tale attitudine che serve al Paese per superare questa fase difficile. Né ad alcuno sembra interessare che il popolo approvi o meno.

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