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Europa al capolinea, burocrazia e avarizia: vaccino, alle origini del disastro firmato Bruxelles

Ernesto Preatoni
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Le prime pagine di molti giornali sono costantemente occupate dalle statistiche legate a quante persone si sono ammalate di Covid ieri. Di che colore è la regione in cui abitiamo. E di cosa si può fare in quella regione. Se si ha la pazienza di andare a cercare, però, si scopre che la realtà è fatta di altre notizie, che fotografano un po’ meglio la complessità della situazione che il nostro Paese sta attraversando. Ne ho scelte due, che, secondo me, disegnano in maniera piuttosto chiara la gravità del contesto. La prima è il «Very European Disaster», il disastro tutto Europeo – il copyright è del Nobel per l’Economia, Paul Krugman – della campagna vaccinale. E, aggiungo io, più in generale, della gestione delle limitazioni legate alla prevenzione del Covid-19: pensiamo solo alla figura di Frau Merkel che, non più tardi di qualche giorno fa, ha dovuto rimangiarsi il lockdown duro di Pasqua e chiedere scusa ai propri concittadini, stremati. Torniamo a Krugman. Nel corso di questa settimana ha pubblicato un pesantissimo editoriale sul New York Times in cui fa un’analisi estremamente severa della campagna vaccinale in Europa. Secondo il premio Nobel, gli errori, le disfunzioni e le lungaggini nella somministrazione dei vaccini non sembrano purtroppo essere casi isolati registrati in singoli Stati Membri, piuttosto «Sembrano rifletterei difetti fondamentali nelle istituzioni e negli atteggiamenti del continente, compresa la stessa rigidità burocratica e intellettuale che ha resola crisi dell'euro un decennio fa molto peggiore di quanto avrebbe dovuto essere». C’è di molto peggio, secondo Kruman: la tecnocrazia di Bruxelles ha, probabilmente fatto uno di quegli errori che terrorizzano gli «strategist» delle grandi case di investimento, quando queste analizzano il comportamento delle Banche Centrale, ovvero si sono protetti dai rischi «sbagliati».

 

 

 

È quello che, in gergo, gli economisti considerano una «errore di policy». È quello che fece Trichet, per capirci, quando, nel 2008, alzò i tassi di interesse alla vigilia di una delle più gravi crisi finanziarie della storia. Non molto diverso sembra essere accaduto in Europa, poco tempo fa, quando, secondo Krugman, a Bruxelles, «Sembravano più preoccupati di ritrovarsi costretti a pagare troppo le aziende farmaceutiche, o a stanziare soldi per vaccini inefficaci o con pericolosi effetti collaterali. Quindi hanno minimizzato questi rischi ritardando il processo di approvvigionamento,mercanteggiando sui prezzi e rifiutando di concedere esenzioni di responsabilità» C’è, però, un ulteriore vizio nell’atteggiamento europeo, secondo Krugman: «In Europa la vaccinazione è stata ritardata dai tentativi di perseguire una politica europea comune, il che andrebbe bene se l'Europa avesse qualcosa di simile a un governo unificato. Ma così non è».

 

 

 

In sostanza: in Europa le vaccinazioni non funzionano, così come non funzionava (e continua a non funzionare) la moneta comune. La colpa non è di questo o quello Stato, la verità è che l’Unione – quando è schiava di burocrazia e mercanteggiamenti politici di basso profilo – non fa la forza. Concludo, riprendendo una seconda notizia di questa settimana: sui conti correnti degli Italiani ci sono parcheggiati quasi 2mila miliardi di euro, più del Pil, per intenderci. Non è una bella notizia: chi ha denaro o non riesce a spenderlo come faceva prima del Covid o, più probabilmente, ha paura. Risparmia, investe in Borsa e diventa sempre più ricco. Chi non ha nulla e dipende dall’economia reale,invece, va sempre più verso il baratro e lo fa con la consapevolezza di essere, da più di un anno, impossibilitato a rimboccarsi le maniche per dare da mangiare ai propri figli. Proviamo a sommare queste due notizie: dove pensa di andare un Paese che non procede con le vaccinazioni (e, quindi, non riesce a riaprire) e dove la domanda interna non solo si sta affievolendo, ma anche la propensione alla spesa si sta spegnendo, a pensare di ripartire se non verso il rischio di una rivolta sociale?

 

 

 

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