Roberto Speranza e le "chiusure a casaccio": ecco come ha bloccato l'Italia senza prove scientifiche
Più che un indice, è un pollice, come quello usato secondo la leggenda dagli imperatori romani durante le lotte tra gladiatori: rivolto in un senso vuol dire salvezza, nel senso opposto significa condanna. Ma, come il segno del pollice, anche l'indice Rt risente della discrezionalità di chi lo adotta e lo interpreta. A spiegare l'inattendibilità di questo parametro, assunto come dogma per imporre il lockdown, è il prof Antonello Maruotti, ordinario di Statistica all'Università Lumsa di Roma, in un'intervista sul sito di Fondazione Leonardo - Civiltà delle Macchine. «Rt illustra quante persone può contagiare ogni infetto», avverte il prof. «Ma esso ci dà solo un'indicazione sull'andamento dell'epidemia, non è pensato per definire il livello di rischio. Il parametro per cui sopra il valore 1,25 di Rt una regione diventa rossa e sotto è arancione o gialla è stato stabilito dal ministero della Salute su una base né scientifica né statistica». Decidere le chiusure in nome di tale indicatore è dunque una scelta sconsiderata.
I TRE ERRORI
«La sua stima è ottenuta grazie a un modello matematico e, come tutte le stime, è accompagnata da incertezza», sottolinea Maruotti. «Per di più questo modello non è affidabile in quanto analizza in modo errato tre aspetti. Il primo è la finestra temporale. Al momento viene fatta una stima sulla settimana, un arco di tempo troppo breve per ottenere una valutazione esatta. In secondo luogo il conteggio dei contagi segue una legge di probabilità che non dà adeguato peso alla variabilità dei dati. Da ultimo, il tempo di generazione, che intercorre tra due infezioni successive, viene approssimato basandosi su 90 casi monitorati in Lombardia nel febbraio 2020: da allora non è mai stato aggiornato, ma applicato in modo indiscriminato a tutte le regioni, senza considerare variabili come la distinzione giovani-vecchi o l'adozione di misure più o meno restrittive». Così inteso, «l'uso di Rt risulta inappropriato e molto rischioso; e le stesse restrizioni imposte finiscono per basarsi su una stima poco affidabile». È evidente, dunque, che, per cambiare rotta, bisognerebbe modificare il modello per stimare Rt.
RESTRIZIONI
Anche così però sarebbe un errore continuare a considerarlo l'indicatore principe per stabilire chiusure e riaperture. Esso risente infatti di un limite connaturato: «L'indice Rt», sottolinea Maruotti, «non dà una fotografia attuale della situazione, ma relativa a una o due settimane prima. Guardando Rt, dunque, arriviamo dopo: rischiamo di applicare la zona rossa quando abbiamo già superato il picco, e di chiudere troppo tardi o di riaprire troppo presto». Sarebbe opportuno pertanto «non ritenere più Rt la stella polare per valutare l'evoluzione dell'epidemia, ma dare giusto valore agli altri indicatori che fotografano il presente: ad esempio, il tempo tra la data di inizio sintomi e la data della diagnosi, il numero di nuovi focolai, l'incidenza del contagio». Inoltre sarebbe il caso di introdurre competenze specifiche all'interno del Comitato tecnico-scientifico. I primi segnali dati dal governo Draghi non sembrano andare in questa direzione: nel nuovo Cts era stato nominato Alberto Giovanni Gerli, ingegnere gestionale senza alcuna formazione statistica e autore di previsioni sull'epidemia rivelatesi sballate. «Dovremmo smetterla di dare il messaggio per cui basta avere una laurea per far di qualcuno un esperto», commenta Maruotti.
COMPETENZE NUOVE
Per sostituire Gerli, dimessosi dall'incarico per «polemiche inattese» dopo esservi stato nominato, dice lui, a sua «totale insaputa», Maruotti fa i nomi di prof che avrebbero le competenze necessarie a valutare correttamente Rt: «Penso al presidente della Società Italiana di Biometria, Clelia Di Serio, o ai colleghi statistici Fabio Divino, Alessio Farcomeni, Giuseppe Arbia e Paolo Girardi». Draghi si segni questi nomi. Magari, grazie a loro, non metteremo più all'Indice le regioni che hanno l'indice Rt troppo alto.