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Lombardia e vaccini, il virus dell'inefficienza dilaga (e la sinistra specula)

Renato Farina
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Figliuolo fa arrivare nel Paese un altro milione di dosi Il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha annunciato verso l'una e mezza di ieri pomeriggio di aver dimesso i vertici di Aria, una sigla che in tempi di polmonite bilaterale pareva un sogno e si è rivelata una beffa. Aria, che è l'acronimo di Agenzia Regionale per l'Innovazione e gli Acquisti, doveva essere la macchina perfetta per prendere per mano i lombardi e accompagnarli con ritmi allegri e millimetricamente precisi, come d'uso presso i tornitori della Valtrompia e gli ingegneri della Nasa in ordine decrescente, alla somministrazione dei vaccini. Invece, ci sono stato tre giorni di caos, la settimana scorsa, specie a Cremona, Como e in Brianza. Ma era da dieci giorni che Guido Bertolaso, campione mondiale di protezione civile chiamato a Milano, aveva denunciato una situazione intollerabile alla quale, finché si trovava ad aver a che fare con Aria, non poteva rimediare. Fontana ha spiegato la defenestrazione dei vertici di Aria con i «disservizi informatici», la qual cosa riferita alla Lombardia è come se in Svizzera dicessero che si sono rotte le molle dell'orologio e in Vaticano che Dio è morto. Un disastro. Gli ultraottantenni erano attesi, ma le postazioni sono rimaste deserte, i medici sono restati lì come fessi con le siringhe in mano. Una tesi circolante parla di sabotaggio. In effetti è così. Ma non è roba politica. Un boicottaggio e una cospirazione ci sono stati sì, ma sarebbe troppo bello fosse dovuto a un teorico del no vax inserito nella stanza dei computer o a un terrorista islamico in incognito. Lo si prende e via. In realtà è un mostro senza testa ma con due corna dette Ignoranza e Incapacità. A farli spuntare in questa terra dove si pensava non esserci terreno favorevole è stato l'inesorabile contagio di un virus ormai endemico in questo Paese, e che ha trovato modo di insediarsi ufficialmente al governo con il successo dei Cinque Stelle e della loro vaffancultura.

Il frullato - A noi lombardi e in generale padani non conforta sapere che in Toscana va peggio, e pure in Puglia. E che la Calabria è all'ultimo posto. Che ci frega, non siamo in competizione con la mediocrità. Ma vedere che essa infetta la Regione delle eccellenze, ci fa stare male, non ci accontentiamo di salutari epurazioni. Occorre non solo estirpare ma soprattutto capire come si è creato un tumore si spera benigno. La differenza della burocrazia lombarda rispetto a quella ministeriale e a quella delle Regioni meridionali era il somigliare in maniera spettacolare alle strutture delle imprese private. Stessa pasta, medesima efficienza. C'erano tre società a capitale regionale messe su da Formigoni. Una si occupava di informatica, un'altra di infrastrutture, la terza di acquisti. te titolare della Salute, che ha privilegiato le corporazioni nell'assegnare le dosi (ad esempio la magistratura) penalizzando le classi di età.

Nessuno spreco - Pertanto si eviti la manipolazione mediatica e non si esageri con l'autodafé. La Lombardia ha sì inoculato il siero con qualche ingiustificabile pasticcio, ma non ha sprecato un milligrammo di siero. Esaurirà le scorte entro fine marzo. Dunque il danno sarà riparato. Ora si marcia bene, benissimo, tanto che dopo gli intoppi la Lombardia ora va a velocità doppia della media nazionale. Non è retorica, ma sostanza numerica. Ha un sesto della popolazione dell'Italia, ma ha effettuato negli ultimi giorni un quarto delle iniezioni dell'intero Paese: trentamila su centoventimila. Resta il guaio fatto. L'immagine intaccata, su cui lavorano per trasformarla in sfregio permanente gli amici del giaguaro maculati di rosso e di giallo, alla faccia della concordia nazionale invocata dal presidente Mattarella. Detto questo, i cittadini lombardi sono abbastanza incazzati. Le notizie volano tra parenti. Ne abbiamo tutti genitori e zie che passano i novanta. Abbiamo perso giornate per entrare nel portale dove prenotare la puntura. Ma dov' è finita la preveggenza lombarda, il vedere lontano? E la memoria porta al libro Cuore di Edmondo De Amicis. Uno dei nove meravigliosi racconti della nostra infanzia proponeva un eroe del Risorgimento di dodici anni, un biondino con gli occhi celesti: «La piccola vedetta lombarda». Erano scappati tutti. Lui no. Per aiutare la cavalleria piemontese salì su «un frassino sottile e altissimo che dondolava la vetta nell'azzurro», segnalò a destra la presenza di un drappello di austriaci nascosti nel frumento (era giugno) per tendere un agguato. Lo scorsero in cima all'albero. I proiettili lo sfioravano. Volle finire il lavoro. Essenza lombarda. Si girò a sinistra. Fu abbattuto. Grazie a lui «la bandiera dei tre colori» ottenne la vittoria. Stavolta la vedetta lombarda salita sul grattacielo si è rivelata cieca. Fontana l'ha buttata giù, bravo. Arrivano le Poste a prendere il posto di Aria. Una bella umiliazione, per la Lombardia costretta a chiedere soccorso a un'azienda a capitale di Stato, un tempo considerata un ammortizzatore sociale. Come dicono a Milano: ciàpa sü e porta a cà. Il problema è che se la Lombardia non risale in cima a indicare la strada, a perdere è l'Italia.

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