Cerca
Logo
Cerca
+

Giulio Sapelli su Mario Draghi: "Ostacolato dalla Germania, enorme risentimento verso di lui"

Fausto Carioti
  • a
  • a
  • a

Accademico e uomo d'azienda, oltre settanta libri scritti, un sapere impressionante che tiene insieme storia, geografia, antropologia, economia, letteratura e diritto. Nell'apparente caos del mondo invaso dal virus, Giulio Sapelli, che nel maggio del 2018 fu a tanto così dalla poltrona di premier, vede disegni che ad altri sfuggono. Alcuni di questi partono dalla Germania per punire Mario Draghi, a causa di ciò che ha fatto ai tempi della Bce, e tutti noi assieme a lui. Dovremo fare quadrato attorno al premier, avverte Sapelli, e sperare che l'asse che lo lega agli Stati Uniti tenga.

Professore, il mantra di questi tempi ripete che «chi ha il vaccino ha il potere». La partita attorno al farmaco anti-Covid sarebbe molto più di una questione di soldi, perché da essa dipenderebbe il controllo dello scacchiere politico mondiale. Chi ha il vaccino, lo usa per fare entrare nella propria orbita chi non ne dispone. La pensa così anche lei?
«È un'esagerazione. Gli Stati Uniti hanno una buona industria farmaceutica, producono i vaccini, ma non mi pare che il loro potere sia aumentato per questo, anche perché hanno cominciato molto tardi la loro campagna vaccinale. Più che con l'ordine geopolitico, il vaccino ha a che fare con la ragion di Stato. Il potere è di chi ha la capacità di immunizzare i cittadini della propria nazione. Funziona così ovunque salvo che nelle dittature come la Cina, che è un regime totalitario-terroristico, capace di omicidi di massa».

 

 

La distribuzione del vaccino ai governati legittima i governanti.
«Esattamente. Il vaccino, per dirla con il grande Guglielmo Ferrero, è un principio di legittimità. Guardi come si è ripreso Boris Johnson, pur con tutti i suoi difetti, proprio grazie alla campagna di vaccinazione. E guardi invece cosa è successo in Italia, dove non è bastata la sovraesposizione mediatica di personaggi non competenti come Giuseppe Conte e Domenico Arcuri. Guardi cosa sta accadendo in Francia, dove Emmanuel Macron crolla sempre di più»

Guardiamo la Germania.
«Angela Merkel non ha saputo sfruttare i vaccini e va verso una sconfitta storica, che in parte già abbiamo visto. La cancelliera si disvela per ciò che è: una politica che ha fatto solo tattica e non ha mai avuto una strategia».

Come spiega la guerra fatta dalla Merkel al vaccino inglese AstraZeneca, se non con una strategia geopolitica?
«La spiego con la grave cecità della Merkel. Mi ricorda la guerra della Prussia contro l'Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck. L'Europa dovrebbe avere tutto l'interesse a mantenere ottime relazioni con l'Inghilterra, madre di ogni democrazia e Stato più civile e giuridicamente più evoluto di tutti. Alla Ue gli inglesi hanno dato solo cose positive, come certe ottime regole per la governance delle imprese che noi abbiamo applicato male».

Resta il fatto che gli inglesi se ne sono andati.
«La Brexit è nata da un terribile errore dei tories, i conservatori, causato dalle loro beghe interne».

Dov'era l'errore?
«Nel fare decidere il popolo. Nella nazione che ha inventato il parlamento non si può fare un referendum. Le nazioni con i parlamenti sono più civili proprio perché tengono gli elettori a distanza dalle decisioni, nella speranza che i rappresentanti del popolo siano migliori del popolo stesso. Commesso questo errore terribile, però, la Germania e gli altri dovevano aiutare l'Inghilterra a sanarlo».

Invece ne hanno approfittato per tenere il Regno Unito a distanza, come dimostra pure la vicenda di AstraZeneca.
«Quando vedi il modo in cui si comporta la Merkel con l'Inghilterra, capisci la differenza che c'è tra una potenza marittima come quella inglese, che come tale ha un futuro, e una potenza di terra come la Germania, che senza la guerra non ha futuro. Alla cecità della Merkel, poi, si è unito il tradizionale astio dei francesi verso gli inglesi».

L'Italia non è certo una potenza di terra, eppure si è accodata alle scelte delle Merkel.
«L'Italia è una potenza di nulla, il problema è proprio questo. Per collocazione dovremmo essere una potenza talassocratica, però non ci siamo mai riconosciuti come tale. Abbiamo preteso di essere una potenza di terra stando in mezzo al mare: una storia tragica».

La storia la fanno anche gli individui. A che serve avere Draghi premier se poi andiamo a ruota dei tedeschi? Draghi è il grande decisionista che noi giornalisti avevamo dipinto o una figura più portata al compromesso, come suggeriscono le conferme di certi ministri?
«Draghi è un politico, non un tecnico. Un fine politico non eletto, figura di cui è ricca la storia mondiale. È un uomo che quando si è laureato è andato negli Stati Uniti e lì è diventato il pontiere tra Washington e Roma: ottima cosa per noi. È un uomo di mediazione: sa che i partiti non ci sono più, ma il parlamento c'è ancora, e quindi lui deve trovare il modo di far passare le proprie leggi. Anche attraverso un'attenta applicazione del manuale Cencelli, se serve».

 

 

È normale che «un fine politico non eletto» arrivi alla guida del governo?
«L'Italia non ha più uno Stato di diritto. Dopo la legge Bassanini del 1997 e la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, tra Stato e Regioni non si sa più a chi appartengano le competenze. Aggiunga che un ordinamento come la magistratura è diventato un vero e proprio potere e capisce perché la Costituzione italiana non funziona più. Questa situazione permette che emergano persone competenti, che conoscono lo Stato, o meglio ciò che ne rimane».

Lei avrebbe voluto che Fratelli d'Italia entrasse nella maggioranza?
«Certo. Sarebbe stato il segno decisivo che ciò che rimane dell'Italia è unito. Perché qui corriamo il pericolo di tornare ai livelli di prodotto interno lordo che avevamo prima del 2000. Stiamo sprofondando nell'ultimo decennio del Novecento, nel Mezzogiorno già è così».

Sprofonda anche l'Unione europea di Ursula von der Leyen, bocciata alla prima prova decisiva.
«Ho conosciuto suo padre, Ernst Albrecht: grande intellettuale protestante, fu direttore generale della Commissione europea e questo dice molto anche sulla famosa tecnocrazia, fatta di famiglie dove il potere si trasmette per via ereditaria. Però lei non è assolutamente all'altezza del compito, come non lo è questo Armin Laschet diventato nuovo presidente della Cdu. È l'ennesima prova che la Merkel è di una povertà intellettuale e politica sconcertante, è il filiteismo tedesco fatto persona. Ci vorrebbe la penna di un Heinrich Heine per descriverla».

La von der Leyen si difende dicendo che «se quattro o cinque Stati avessero avuto il vaccino e altri no, sarebbe stato devastante per l'unità europea».
«Solo chi ha una mentalità stalinista può dire una cosa del genere. Abbiamo un insieme di trattati che aboliscono gli aiuti di Stato e poi si pensa di imporre dall'alto i modelli vaccinali? La Ue non è l'Unione sovietica, l'unità europea vive anche della diversità».

Se è la distribuzione del vaccino che legittima il potere, la Ue ha scarsissima legittimazione.
«Sono andato a vedere i contratti firmati dalla commissione europea con AstraZeneca: nemmeno uno studente che deve dare l'esame di diritto privato avrebbe fatto una cosa del genere. Il confronto con i contratti preparati dagli inglesi è imbarazzante. Lì c'è la "common law", che si basa su un'antropologia positiva: fai, intraprendi, i controlli dello Stato verranno dopo. Dietro al diritto romano e germanico e al codice napoleonico c'è invece un'antropologia negativa: prima lo Stato, poi il cittadino. Così i contratti della Ue non si preoccupano di fare arrivare prima i vaccini, ma di spendere meno ed evitare la corruzione: una follia. Siamo in mano a persone irresponsabili».

Ma può esistere una Ue senza la leadership tedesca? E che tipo di Unione sarebbe?
«Guardi, peggio della leadership tedesca non può esserci nulla. Non facciamoci paralizzare da questa questione: è come se gli antifascisti si fossero rifiutati di combattere il fascismo perché la caduta del fascismo avrebbe aperto le porte al disordine. Peggio di come siamo adesso non si può stare».

È anche un problema di istituzioni: quelle europee non funzionano.
«Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall'euro, ma per introdurre una Costituzione europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un'unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge. È tempo di un nuovo Quarantotto europeo».

 

 

Vasto programma. L'alternativa?
«O si fa così o ci sarà una lunghissima crisi di cui pagheranno il prezzo i poveri, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i precari, le classi medie. Un'agonia senza fine, ecco qual è l'alternativa».

Dai blog