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Pietro Senaldi, anche a Mario Monti fa pena l'Europa: la prova (definitiva) del fallimento di Bruxelles

Pietro Senaldi
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Anche se quasi nessuno lo sa, Mario Monti è dallo scorso agosto presidente della Commissione Paneuropea sulla Salute e lo Sviluppo relativa al Covid istituita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in occasione della pandemia. L'ex premier non si è fin qui distinto granché nel suo compito ma ieri, dopo lungo e pensoso periodo di analisi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Mi intristisce vedere come la Ue fatichi a trattare con le grandi aziende nonostante rapporti contrattuali precisi». Benvenuto tra gli euroscettici, che non sono coloro che odiano l'Europa bensì quanti, fatti e risultati alla mano, sostengono che essa sia una ciofeca e andrebbe cambiata.

All'opposto del siero di Astrazeneca, l'istituzione continentale fa più male che bene alla salute. Il professore bocconiano si riferiva all'acquisto dei vaccini gestito dalla Commissione per tutti i Paesi membri. Essa, si sa, si è mossa tardi, ha trattato sul prezzo e ora si trova dei contratti senza penale e delle drastiche riduzioni nelle consegne. Monti si lamenta che «gli Stati e la Commissione sono impacciati e arrivano sui problemi senza aver preparato gli strumenti per affrontarli» e che chi guida la Ue «non è in grado di rispondere alle esigenze emerse dalla pandemia». Siamo d'accordo con lui, anche se il suo problema resta sempre come passare dalla teoria alla pratica come quando, chiamato a guidare il Paese per risanare i conti, ne ha aggravato la crisi economica. Ottime analisi, buoni propositi, pessime soluzioni. Pure in Italia avevamo, per dirla con Monti, una "governance" inadeguata. Infatti l'abbiamo cambiata e il nuovo premier sta smontando a uno a uno tutti i tasselli, politici e burocratici, sui quali si fondava il potere del suo predecessore.

L'Europa a guida tedesca viceversa, accusata due giorni fa dal ministro della Salute di Berlino di aver fatto letteralmente «un lavoro di m...» sulla pandemia, non sembra mettersi in discussione. Anzi, tira dritto facendo seguire disastro a errore, ciascuno resta inchiodato al proprio posto. E Monti? Si lamenta ma non incide. Dice che la Ue fa pena. Se lo sostiene lui, che si ritiene una delle stelline sulla bandiera dell'Unione, c'è da credergli; ma, se l'istituzione ha iniziato a disgustare perfino lui, che ne è una colonna, con uno sforzo d'empatia il professore provi a figurarsi quanto può stare sul gozzo a chi non ci ha gozzovigliato dentro.

 

 

 

È per una decisione politica sbagliata della Ue, e in particolare della Merkel, tramortita dalle sconfitte elettorali in patria e spaventata dai no-vax autoctoni, se quasi tutti i Paesi dell'Unione, ignorando le rassicurazione dell'Agenzia Europea del Farmaco (Ema), hanno sospeso per tre giorni la vaccinazione con Astrazeneca contro il parere dei medici, per una volta tutti d'accordo. Da domani, probabilmente, gli Stati torneranno ad ascoltare gli scienziati, ma si ignora se lo faranno anche i cittadini, terrorizzati in merito alla profilassi dai loro leader, che dopo aver liberato i buoi ora si affrettano a chiudere il cancello. Il problema però non è tanto dei tedeschi, che l'hanno innescato ma possono rinunciare ad Astrazeneca in quanto hanno stretto contratti bilaterali e privilegiati con i produttori americani, bensì nostro e della nostra classe politica, che si affida ciecamente alla Ue pur consapevole che essa è fallace e partigiana. E lo fa oggi come lo faceva ieri. Per seguire la Germania e il suo diktat per l'austerità, Monti trasformò la crisi economica nell'anticamera di un fallimento, sventato solo da Draghi, che da presidente della Banca Centrale Europea fermò la speculazione selvaggia sul nostro Paese.

 

 

 

Stavolta, basato non più a Francoforte bensì a Roma, il nostro premier non ha avuto la forza di dire "nein" e continuare a vaccinare. La avesse trovata, sarebbe tornato la guida morale di tutto il Continente. Evidentemente non conta solo l'uomo, ma anche la carica e il luogo: Palazzo Chigi è provincia del Reichstag, la Bce ne era il cuore. La speranza è che SuperMario, smettendo di parlare inglese a favore dell'italiano, non si trasformi subito in Mario, o Marietto. Lui, che conosce bene l'Europa, sa che anche lì ci sono fior di incompetenti e fessi, ma anche un sacco di figli di buona donna che pensano ai fatti loro e dei loro Paesi prima che al bene dell'Unione. Quelle aziende con le quali la signora Von der Leyen non ha saputo contrattare, e che ora tratta con i guanti, sono i colossi americani con cui la Germania ha un rapporto privilegiato, tanto che la Merkel ha impedito alla Ue di comprare la tedesca Biontech, detentrice del brevetto sul vaccino, favorendone l'acquisto da parte di Pfizer. Astrazeneca invece è inglese, e la Gran Bretagna ha la grande colpa di aver mollato la Ue tedesca, dimostrando al mondo che è possibile farlo e, talvolta, dopo si sta anche meglio.

E allora non stupisce che Berlino non si sia fatta scrupolo di obbligare tutta Europa a fermare la profilassi con il prodotto britannico, anche senza prove valide contro di essa, e neppure che ieri Von der Leyen abbia attaccato solo la multinazionale londinese per ritardi nelle consegne dei vaccini alla Ue che riguardano tutti i produttori.

 

 

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