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Coronavirus, negli Stati Uniti battono la pandemia grazie a una Banca centrale: trova le differenze tra noi e loro

Gianluca Mazzini
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Basterebbe leggere i giornali o guardare le tv non europee per aver un quadro realistico della situazione. La verità è che il Covid è rimasto soprattutto un problema del Vecchio Continente. Lo sottolineava l’altro giorno Lorenzo Mottola in prima pagina elencando i paesi che stanno vincendola battaglia al virus. Tutte nazioni che nulla hanno a che spartire con l’Ue dove il piano vaccinale è in tilt. Dalla Gran Bretagna al Giappone passando per Israele. Notizie confortanti anche dalla Cina e dall’Africa dove il virus non è dilagato. Realtà dove la pandemia è stata contenuta e dove si è anche riusciti a mantenere in vita l’economia evitando serrate e zone rosse. Diversa la situazione in America dove esiste ancora l’emergenza sanitaria.

Da nord a sud. Ma gli Stati Uniti, con Trump prima e Biden ora hanno limitato al massimo le chiusure (alcuni Stati non hanno mai imposto restrizioni) e soprattutto ora si avviano a una vaccinazione di massa senza precedenti. Ma anche sul fronte economico gli Usa non scherzano. L’amministrazione Biden ha varato una manovra fiscale (Coronavirus Relief Package) che ammontaa 1.900miliardi di dollari, una delle più grandi della storia a cui andrebbero aggiunti altri 900 miliardi di dollari approvati dal Congresso a dicembre. In questo modo gli Stati Uniti saranno la nazione al mondo che ha speso di più per combattere la pandemia. Qualcuno può ritenere che anche l’Europa non sia stata a guardare.

 

 

Non passa giorno che non ci vengano ricordati i famosi 209 miliardi che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) spettare all’Italia con il Recovery Fund. «Ma le differenze oltre che numeriche sono sostanziali» spiega Claudio Freschi, economista del Centro Studi Enrico Mattei e responsabile del blog il Keynesiano Gaudente: «La politica fiscale americana può essere definita come “un pagamento in contanti”, un’immissione diretta di liquidità nel sistema da utilizzare per migliorare il  sistema ma anche per stimolare la domanda e far ripartire consumi, produzione e lavoro.

 

 

Diverso il caso europeo e italiano. Dei 209 miliardi erogabili in sei anni, ben 127 sono di prestiti. Denaro che dovrà essere restituito dall’Italia all’Europa e che verrà considerato debito pubblico». Semplificando all’estremo la differenza tra Stati Uniti e Ue è nell’esistenza di una Banca Centrale. Da noi non c’è una Federal Reserve. Spiega ancora Freschi: «Ai 127 miliardi di prestiti europei bisogna aggiungerne altri 82 che per correttezza andrebbero calcolati al netto dei contributi italiani al bilancioeuropeo.Una cifra che oscilla tra i 50 e i 70 miliardi. Nella migliore delle ipotesi avremmo un contributo reale pari a 30 miliardi, nella peggiore a 10. In sei anni. Briciole. A Washington si prova a “vaccinare” economicamente una nazione, a Bruxelles si somministra un bicchiere di acqua fresca sperando che “vada tutto bene”».

 

 

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