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Roberto Speranza, l'affondo di Pietro Senaldi: "Non è nemmeno un infermiere. Perché abbiamo un dilettante alla Sanità?"

Roberto Speranza

Pietro Senaldi
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L'Italia è travolta da due crisi, quella sanitaria, dovuta al Covid, e quella economica, che ne è la diretta conseguenza, visto che è generata dalle chiusure e dal rallentamento della vita sociale decisi per frenare l'epidemia. La prima ha fatto oltre centomila morti e, a oltre un anno dalla sua esplosione, siamo ripiombati per la quarta volta davanti al tunnel di nuove serrate selvagge. La seconda ha prodotto una contrazione del prodotto interno lordo nel 2020 del 9,5%, ha aumentato di due punti la percentuale di poveri assoluti e, malgrado il blocco dei licenziamenti, ha bruciato quasi 700mila posti di lavoro e fatto perdere ai dipendenti messi forzatamente in cassa integrazione 8,7 miliardi. Il collasso sanitario ed economico, oltre al disastro nell'approvvigionamento e nella somministrazione dei vaccini, sono la ragione principale, se non l'unica, della caduta del governo Conte, una poco simpatica combriccola di improvvisati.

 

 

 

Persone di fiducia

Per rimediare ai danni dei giallorossi sono stati chiamati in servizio i cosiddetti tecnici. La loro massima espressione è Mario Draghi, imposto da Mattarella come premier ai partiti inconcludenti e litigiosi. Draghi è un banchiere, nonché l'unico italiano che in Europa comanda anziché prendere ordini. Il suo compito istituzionale è condurci fuori dalla pandemia a colpi di vaccino e scrivere un programma economico che direzioni gli aiuti europei verso investimenti produttivi e non in sussidi senza ritorno, come sarebbe stato lasciando al suo posto il nuovo capo dei grillini, l'avvocato di Volturara Appula. Sul fronte economico SuperMario ha preso subito due decisioni drastiche. La prima è stata scegliere personalmente tutti i ministri economici, scegliendo al di fuori della politica, con l'eccezione del leghista Giancarlo Giorgetti, piazzato allo Sviluppo Economico, dove non può far peggio dei predecessori, Di Maio e Patuanelli. Fedelissimo del premier è il ministro dell'Economia, Daniele Franco, che lavorò con lui in Bankitalia e ha avuto carta bianca nel scegliere i propri collaboratori. Ad aiutarlo a redigere il piano sul Recovery Fund è stata ingaggiata McKinsey, società internazionale di consulenza di primissimo livello. Collaboreranno anche Ernest&Young, Accenture, Pwc e altri trecento tecnici, assunti allo scopo dopo che il nuovo governo ha decretato che tra i tre milioni e mezzo di dipendenti della Pubblica Amministrazione non ci sono professionalità all'altezza. Ben vengano gli economisti, se ci servono. E ben venga anche l'esercito in sostituzione del commissario alla pandemia, Domenico Arcuri, degradato sul campo in favore del generale degli Alpini, Francesco Paolo Figliuolo, reclutato per la profilassi in quanto numero uno nazionale in materia di logistica. Sempre in nome della competenza è stato richiamato alla Protezione Civile Fabrizio Curcio, in sostituzione di Angelo Borrelli, il precedente pacioso responsabile, a suo tempo accusato da certa stampa di essere un no-mask. Giusto così, la partita dei vaccini è vitale e Draghi ha strutturato una squadra di primo livello. L'unica cosa che non torna, in questo tripudio di competenti, è la conferma al dicastero della Salute di Roberto Speranza, il ministro ossimoro, dal nome beneaugurante ma che, al solo sentirlo, semina terrore e lutti. L'uomo è un politico di seconda fila. Quando si candidò alle Primarie del Pd arrivò terzo, malgrado la segreteria dei dem sia una seggiola in svendita, che produce in chi vi si accomoda immediate allergie e desiderio incontrollabile di levarsi di torno. Il comunista lucano, ritenendo gli ex comunisti troppo poco a sinistra, ha fondato Liberi e Uguali, grazie alla mano sulla testa che da sempre gli pone Pierluigi Bersani, talent scout di provincia al quale dobbiamo anche Alessandra Moretti e il fu Tommaso Giuntella. Alle ultime Politiche, nella sua Basilicata, ha preso meno di quattromila preferenze, fedele al detto che nessuno è profeta in patria. Pochissime, sufficienti però, per gli incomprensibili giochi della politica, per insediarlo al ministero, dal quale decide delle nostre vite da oltre un anno.

 

 

 

Fuori dal tempo

Speranza è laureato in Scienze Politiche, se così si può dire, e nella sua vita ha fatto un solo lavoro, il politico, sempre se così si può dire. Non è neppure infermiere ma comanda sui medici, che di virus hanno letto qualche centinaio di libri più di lui e sui governatori delle Regioni, che hanno preso centinaia di migliaia di voti più di lui. Comanda pure sul suo vice, Pierpaolo Sileri, che siccome è medico chirurgo con tanto di master negli Stati Uniti e ne sa più di lui, non viene neppure convocato dal ministro alle riunioni che contano. Nell'era dei competenti, il bersaniano è un uomo fuori dal tempo. Nel nostro Paese i geni della medicina sono perfino più numerosi di quelli dell'economia. Abbiamo una sfilata di scienziati di livello internazionale ma nessuno li chiama in servizio. Se per l'emergenza economica abbiamo avuto l'intelligenza di rivolgerci a esperti in numeri, per quella sanitaria ci difetta l'acume di convocare al governo i medici. Si preferisce relegare chi capisce di Covid nei salotti tv e lasciare a menare il torrone gli esperti in chiacchiere. Intorno al deprimente Speranza, portatore di lutti nel fisico e nel messaggio, si stringe infatti il Comitato Tecnico Scientifico, una congregazione di medici il cui h-index, la misura con cui si pesa il valore di un dottore, è degno di un ospedale metropolitano e non di una struttura chiamata a governare la salute nazionale. Il valore medio dell'indice infatti si attesta a 31,5, ma solo perché la capa, Elisabetta Dejana, ha una quotazione personale di 109 e quello di Franco Locatelli è a 101. Al netto di questa coppia, l'indice scientifico del membro del Cts medio si fermerebbe a 25. Un nulla se si pensa ai 171 punti del professor Alberto Mantovani o ai 164 di Giuseppe Remuzzi, geni ignorati da Speranza. Curiamo il Covid con i politici e mandiamo in tv i medici, ecco il modello Italia contro la pandemia, e poi ci stupiamo se all'estero non ci copiano.

 

 

 

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