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Pietro Senaldi spiega la differenza tra Mario Draghi e Giuseppe Conte: "Perché gli sono bastati 14 giorni"

Pietro Senaldi
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Perché non parli? L'opinione pubblica scruta Draghi come Michelangelo guardava il suo Mosè perfettamente scolpito nel marmo, una statua che pare un uomo vero, non fosse che gli manca la parola. SuperMario premier è muto come la cariatide del condottiero ebraico e il suo silenzio provoca differenti reazioni. Rende ciarliera la componente di centrodestra dell'alleanza di governo, disintegra il Pd, preoccupa i grillini e innervosisce i giornalisti, che si sentono snobbati e non sanno che inventarsi. Chi tace infatti non fa gaffe, evita di cadere in contraddizione; soprattutto, sfugge alla tentazione di fare facili promesse. Insomma, non è attaccabile se non sui fatti.

 

 

È per questo che noi di Libero riteniamo prematuro esprimere giudizi sul presidente del Consiglio. Ci limitiamo ad anticipare che apprezziamo la sua scarsa loquacità, soprattutto perché giunge dopo l'anno di bombardamento mediatico inflittoci a tutte le ore, specie quelle notturne, dal precedente inquilino di Palazzo Chigi e dal suo portavoce, Rocco Casalino, una coppia di vanesi da competizione. Non è il caso di fare l'elogio dello stile austero dei tecnici quando scendono in politica. Tuttavia, abituati a un governo di vaniloquenti come il ministro Speranza, capace di dare alle stampe un libro intitolato "Perché guariremo", salvo poi chiuderci due volte, assistere a un potere parco di parole scalda il cuore. Trasmette una sensazione di serietà, quando invece le continue conferenze stampa di Conte per illustrarci i nuovi divieti davano l'idea di un teatrino figlio dell'ansia di apparire del premier piuttosto che della sua esigenza di informare il Paese sulle decisioni che prendeva da solo, chiuso a Palazzo con Arcuri e il Comitato Tecnico Scientifico.

 

 

I critici affermano che, scansando i microfoni, Draghi fugga dalle proprie responsabilità, scaricando su altri il peso di provvedimenti impopolari. C'è pure chi lo accusa di scarso senso delle istituzioni, visto che non condivide le proprie decisioni con il popolo, e gli ricorda che la politica non è l'economia, dove si spiega solo dopo aver agito, perché in finanza parlare prima può rovinare i piani, quando non è un reato, mentre in democrazia comunicare è un dovere. Attacchi pretestuosi. SuperMario non ha bisogno di farsi sentire, tutti sanno che comanda lui. Quanto alle informazioni, il precedente governo ne ha date talmente tante, e così di frequente, che l'unico risultato è stato confondere gli italiani sul virus, quando si trasmette, come si cura, quanto uccide, ma anche su quel che è consentito o meno fare, visto che le regole cambiavano di continuo e dalla sera al mattino.

Ben vengano quindi le notizie con il contagocce, così che avremo il modo di conoscerle e il tempo di capirle. In due settimane Draghi ha detto poco ma, ai differenza dei predecessori, è stato coerente. Ha bocciato le Primule dove Arcuri voleva somministrare i vaccini, e poi ha licenziato il commissario. Ha bacchettato l'Europa per la sua gestione fallimentare dei vaccini, chiedendo più dosi, e Bruxelles ha aperto al siero russo Sputnik. Ha dichiarato che la priorità del Paese è la profilassi, e conseguentemente ha bloccato le fiale di Astrazeneca in partenza per l'Australia.

Non ha annunciato soldi a pioggia, e infatti non ha chiuso i negozi e sta cercando di limitare al massimo le restrizioni alle attività produttive, malgrado i contagi crescano. È venuto meno alla parola solo sulla scuola. Dopo aver riconosciuto nel suo discorso d'insediamento il ruolo centrale dell'istruzione nel rilancio di un Paese, ha consentito a una classe politica tremebonda di chiudere perfino le elementari, che pure erano rimaste aperte nel pieno della seconda ondata. Segno che anche chi parla poco si trova prima o poi costretto a mordersi la lingua.

 

 

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