Nicola Zingaretti e il Pd, la radice della crisi: "Gli ex comunisti hanno perso la loro classe dirigente"
Caro direttore, nel Pd le cose a volte vanno molto lente, altre volte hanno una improvvisa accelerazione. Per certi aspetti c'è un parallelismo fra il Conte 2 e il Pd a guida Zingaretti. Alla luce delle improvvise dimissioni di Zingaretti vale forse il motto "simul stabunt simul cadent". Così come il governo era sostanzialmente in crisi dall'autunno del 2020, così il Pd si trovava in una condizione di estrema difficoltà accentuata in seguito alla caduta del governo Conte e alla formazione del nuovo governo. Prescindendo dal fulmine a ciel sereno delle dimissioni c'erano già molti elementi di diverso rilievo che mettono in evidenza una crisi profonda. Francamente il Pd da diverso tempo sembra in preda a un processo di decerebralizzazione e a uno stato confusionale. Mentre era evidente che dall'estate del 2020 il governo Conte, per usare una frase famosa, aveva perso tutta la sua forza propulsiva, invece il Pd fino a febbraio di quest' anno ha tenuto la linea o Conte o voto: dobbiamo a Renzi se con Draghi si è aperta una fase nuova. Però la decerebralizzazione si è manifestata anche nella direzione più elementare del termine nel senso che alcuni dei cervelli migliori del partito come Minniti e come Padoan lo hanno ritenuto così poco attrattivo da dimettersi da parlamentari per andare a fare altre cose. Minniti va a presiedere, nell'ambito di Leonardo, una fondazione sulla strategia politica nel Mediterraneo, Padoan è andato a fare il presidente di Unicredit.
Cervelli in fuga - Ora, mettiamo in chiaro un aspetto non emerso in questi giorni: Minniti è l'unico cervello politico che ha il Pd in materia di politica interna, di Servizi e di geopolitica. Se proprio il Pd non voleva proporlo come ministro dell'Interno almeno poteva sostenere la sua candidatura come Commissario dell'Onu per la Libia, operazione a quanto si dice possibile e certamente utile all'Italia per arginare l'influenza russa e turca nei confronti di un paese per noi strategico. Su un piano diverso un giovane dirigente del partito, di cui però è stato sia pure per qualche mese addirittura segretario, ci riferiamo a Maurizio Martina, ha preferito andare a fare il vicedirettore della Fao. Rispetto a queste 3 autentiche perdite, anche se di vario tipo e di vario livello, nessuno nel Pd ha detto parola. A essere maligni viene da pensare che, invece, molti hanno tirato un sospiro di sollievo perché così si sono liberati almeno 3 posti da parlamentare e almeno 2 da potenziale ministro. Le cose però non si fermano qui. Il governo Draghi, oltre a essere una soluzione ottima, è anche un terreno di confronto e di lotta in primo luogo proprio fra il Pd e la Lega, dove Salvini ha collocato un paio di ministri del peso di Giorgetti e di Garavaglia e un bel numero di combattivi sottosegretari in tutti i dicasteri chiave. Orbene, su questo secondo terreno, il Pd non ha più rappresentanza in alcuni ministeri chiave come Economia, Salute e Interno malgrado nel precedente governo avesse rappresentanti di alto livello come Misiani, Zampa e Mauri. Però le riflessioni non si fermano neanche qui. Sappiamo che i sondaggi sono per definizione effimeri, ma oggi qualora Conte prendesse la leadership del Movimento 5 stelle porterebbe quest' ultimo a risalire addirittura fino al 22%, una cifra derivante dalla sottrazione del 5% proprio al Pd.
Crisi di nervi - Che cosa vuole fare da grande il Pd? Vuole spartire e condividere con il M5s l'assistenzialismo, il populismo, il giustizialismo oppure vuole essere un partito garantista e riformista? L'interrogativo non è di poco conto anche per un'altra ragione: allo stato, a partire dal suo discorso in parlamento, il riformismo inteso in una dimensione insieme equilibrata e incisiva è stato quello espresso da Draghi e anche da alcuni dei suoi ministri tecnici. E adesso le inopinate e per molti aspetti singolari dimissioni di Zingaretti mettono in evidenza che il re è nudo, dovrebbero essere l'occasione per una discussione di fondo di carattere strategico sulle linee guida del Pd. In ogni caso non possiamo fare a meno di rilevare che esse sono davvero singolari e testimonianza dell'esistenza di una crisi di nervi che può anche tradursi in una sorta di collasso.
di Fabrizio Cicchitto, Presidente ReL.