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Vaccini, prosciugate le riserve e anziani presi per i fondelli: "Aspetta e spera", il modello del disastro italiano

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Alessandro Giuli
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 Se contassero soltanto le parole, in Italia saremmo già tutti vaccinati o giù di lì. Chissà che ne pensa il 95 per cento dei cittadini over 80 che avevano già prenotato l'appuntamento personale ma dovranno aspettare ancora chissà quanto per la salvifica dose. Molti di loro, in Lombardia, ieri hanno ricevuto un sms beffardo e surreale: «Cara cittadina/caro cittadino, siamo consapevoli che il tuo appuntamento per la vaccinazione anti-covid, a causa delle consegne ridotte, sta subendo dei ritardi. Faremo il possibile per assicurarti quanto prima la convocazione, intanto scusaci per l'inconveniente, sappi che la tua salute è la nostra priorità». Altro che priorità Almeno non si può dire che alla Regione presieduta da Attilio Fontana faccia difetto la buona educazione, merito forse dello stilnovo introdotto da Mario Draghi con il suo governo dei migliori (è probabile che la vecchia gestione di Giuseppe Conte, con il Rusputin Casalino nel ruolo d'ispiratore, se la sarebbe cavata con i soliti vocalizzi autocompiaciuti: «Caro vecchio, aspetta e spera che noi intanto stiamo scrivendo la storia»). Il fatto è che la fredda realtà dei numeri appare impietosa: mentre i media più o meno azzerbinati rilanciano il cronoprogramma affiancato al Dpcm di Palazzo Chigi oggi in arrivo, e che preannuncia il raddoppio delle iniezioni fino a giungere a 200mila dosi giornaliere che diventeranno il doppio in vista dell'immunità di gregge per fine estate (boom!), un desolante rapporto dell'Ispi firmato da Matteo Villa ha appena certificato che soltanto il 6 per cento dei circa 330mila ultraottantenni italiani è stato vaccinato; peggio di noi, in Europa, soltanto Bulgaria, Lettonia e Lituania. Conseguenza: «Dopo due mesi di vaccinazioni restiamo uno dei Paesi in cui la letalità scenderà di meno».

 

 

NEL CONGELATORE
Abbiamo dunque sbagliato strategia? È molto probabile: anche se adesso i governanti promettono robuste correzioni e gli esperti magnificano un lieve calo nei tassi di contagio fra gli anziani, resta che per costoro la campagna vaccinale è iniziata solo a metà febbraio poiché - a parità di dosi pro capite - si è pensato d'intervenire prima sul personale sanitario. Come suggerisce da mesi lo studioso dell'Ispi, «con un numero limitato di dosi, l'unica strategia corretta è quella di lavorare per abbattere subito la letalità del virus», ma è appunto risaputo che le fasce maggiormente esposte sono quelle in età avanzata, anche perché presentano quasi sempre comorbità a rischio di complicazioni. A peggiorare il quadro c'è pure la scelta dei vaccini utilizzati: per proteggere infermieri e medici, in prima battuta sono state prosciugate le riserve del siero prodotto da Pfizer che può essere inoculato senza limiti anagrafici, sicché sono rimaste in frigorifero parecchie dosi del vaccino di AstraZeneca che invece viene somministrato nella fascia di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Secondo gli ultimi numeri resi noti da Youtrend, «guardando i dati sugli over 80 nel loro complesso, soltanto le due province autonome di Trento e Bolzano hanno superato il 30 per cento di persone che hanno ricevuto almeno una dose, e sono seguite da Lazio, Basilicata e Campania con almeno il 23 per cento. Sopra il 20 per cento ci sono anche Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta. La due peggiori regioni sono invece la Toscana e la Sardegna con solo il 5,1 per cento degli over 80 vaccinato». Non esattamente un capolavoro di lungimiranza.
 

 

 

FIUMI DI RETORICA
Sorge il dubbio che le intenzioni recondite della campagna vaccinale allestita dal precedente governo, e sin qui ricalcata dal nuovo, poggino su un'unica certezza profilattica: chiudere a chiave dentro casa la gran parte della popolazione e infliggere ai vecchi un sovrappiù d'incertezza e solitudine. Non erano e non sono loro, a quanto pare, la priorità nel piano allestito dalle autorità. Il che stride parecchio con i fiumi di retorica opportunamente versati un anno fa, quando in molti abbiamo pianto un'intera classe d'età che veniva mietuta dalla falce del coronavirus, soprattutto nel nord Italia, in questa inattesa guerra asimmetrica che risparmia i giovani e immola gli anziani sull'altare del dèmone cinese. Scrivere adesso ai sopravvissuti frasi tipo «scusate il ritardo, faremo del nostro meglio» risuona stucchevole come la segreteria di un qualunque gestore telefonico che ci appende a un'attesa infinita. Più che battere i pugni sul tavolo di Bruxelles o sul petto dei governatori, promettendo a breve 6 milioni di vaccini che rievocano gli 8 milioni d'illusorie baionette mussoliniane, Draghi farebbe bene a ribaltare il Cts e a rimuovere quanto prima il commissario Domenico Arcuri

 

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