Pietro Senaldi, Mattia Santori boccia il tentativo di Mario Draghi: "Sconfitta la politica"
Meno male che ci sono le sardine, garantiscono buon umore anche nei giorni più tristi. Probabilmente indispettito dal fatto che Mario Draghi nelle sue consultazioni ha ascoltato i sudtirolesi, Nencini, Tabacci, gli eletti all'estero e altri trascurabili onorevoli della Repubblica, Mattia Santori è emerso dall'oceano di irrilevanza dove l'attualità lo aveva esiliato. Il tribuno tutto riccioli e denti che la sinistra ha scoperto un anno fa in piazza e passa per un enfant prodige anche se ha solo un anno meno di Di Maio, non condivide la scelta di Mattarella. «L'effetto Draghi dimostra che siamo ancora dipendenti dai mercati e serve qualcuno che sappia far navigare la barca in momenti difficili. Sarebbe bello che questo ruolo l'avessero i partiti e la politica, ma così non è», ha sentenziato Mattia in tv. Un'autocandidatura? Dio ce ne scampi, allora sarebbero davvero meglio Ciampolillo e la Lonardo.
È che il capo sardina è laureato in Economia e non poteva lasciare il Paese privo del suo giudizio sul compagno di studi che si appresta a insediarsi a Palazzo Chigi. Mattia è un cervello in fuga atipico. Per fare esperienza all'estero è andato in Grecia, non in Usa o a Francoforte, poi ha deciso di bruciare il suo diploma universitario insegnando basket e skate-board e facendo l'ecologista precario. Un curriculum perfetto per sbarcare in politica, tant' è che i progressisti lo hanno adottato subito, e vagliandolo l'hanno inserito tra i possibili leader del futuro. D'altronde, re Sardina ha pur sempre più personalità di Zingaretti e Orlando. Non ci fosse stato lo scivolone della visita ai Benetton, mossa un po' troppo renziana, il ragazzo con il maglione sarebbe già stato cooptato nella direzione del Pd. Purtroppo per lui però sono cambiati i tempi: l'Italia ha voglia di tecnici, gente che sa far qualcosa, e la pallacanestro, i comizi e le ragazze non sono in cima alle priorità per far uscire il Paese dalla crisi.
Peccato. Con quell'intuizione sui mercati che ormai comandano sulla politica, Santori aveva mostrato di non aver buttato nel water completamente i suoi studi. È dai tempi dei fenici che il commercio muove il mondo e che chi ha credito, nel senso di reputazione, ottiene soldi. Se Mattarella ha dovuto chiamare Draghi è perché a sinistra nuotano troppi pesci; nessuno va nella medesima direzione e tutti si credono squali, invece fanno irrimediabilmente la figura dei tonni. Dopo lo spettacolo offerto per due mesi da grillini, piddini, italovivi e comunisti, era inevitabile che il Quirinale fischiasse la fine della ricreazione e si affidasse a qualcuno che non ha bisogno di dire ogni tre ore di avere reputazione all'estero e che l'Europa si fida di lui. La sinistra si stupisce in questi giorni che SuperMario abbia impiegato dieci minuti a trovare un'intesa con Salvini.
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Non riesce a capacitarsi che un economista in contingenze drammatiche privilegi il pragmatismo all'ideologia e, tronfia e autoreferenziale com' è, non coglie che l'ideologia progressista non coincide con il pensiero di Draghi, che i giallorossi hanno goffamente tentato di arruolare come pennacchio da posare sulla loro fallimentare alleanza. Il leader della Lega ha spiazzato i compagni perché ha fatto per primo il passo indietro chiesto da Mattarella, il presidente che il Pd si è scelto ma al quale fa fatica a obbedire. Matteo, dopo aver portato la Lega ai massimi storici, ha intuito che i suoi elettori gli chiedevano di cambiare schema di gioco. I progressisti non ne sono capaci. Cambiano un leader via l'altro non capendo che è sbagliato il contenuto non il capobastone, e così, solo a loro, può capitare di scambiare Santori, che dopo un anno è già cotto e ripetitivo, per un leader e Draghi per uno disponibile a prestare ascolto alle crisi di coscienza della sinistra. Ma non c'è da preoccuparsi. I dem fanno i capricci ma per non saltare dalla finestra digeriranno la minestra Salvini come fosse caviale e congeleranno re Sardina per quando sarà utile garantirsi una colazione al sacco in provincia.
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