Vittorio Feltri, le confessioni di Luca Palamara e la reazione della magistratura: allora dice la verità?
Il libro uscito nei giorni scorsi da Rizzoli, una intervista puntigliosa di Alessandro Sallusti a Luca Palamara, sta facendo discutere. Trattasi di un trattato importante e illuminante sulla situazione vergognosa della magistratura italiana, più dedita alla politica che alla amministrazione pura della giustizia. Ovviamente giudici vari e pubblici ministeri non sono contenti di questa pubblicazione scottante, protestano e minacciano querele avendo le mani in pasta con le pandette, come è ovvio negano le rivelazioni contenute nel testo.
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Avranno le loro buone ragioni per protestare, tuttavia non si può ignorare che la toga radiata non era e non è una figura secondaria nell'universo giudiziario, nel quale egli ha menato le danze per anni determinando non soltanto le carriere dei colleghi ma anche l'orientamento dei processi. Questo lo avevamo capito da tempo anche noi che non frequentiamo volentieri i tribunali e le procure. Diciamo pure che ne abbiamo viste di ogni colore pertanto le parole piccanti di Palamara ci suonano familiari. Non possiamo accertarne l'assoluta verità, però il sospetto che descrivano una parte della realtà ce l'abbiamo e non possiamo nasconderlo. Saremmo ipocriti.
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D'altronde quando la politica langue o addirittura latita è fatale che si affidi ad altri poteri. In altri termini, qualora gli uomini e le donne eletti dal popolo siano assenti, si crea un vuoto che ovviamente qualcuno riempie. In questo caso, da Mani pulite in poi, la magistratura ha invaso il campo, creando un sistema gestionale anche al proprio interno non esattamente limpido. La sensazione è che la denuncia di Palamara abbia un seguito perché mette a fuoco una situazione imbarazzante. Vedremo cosa succederà. Dalle pagine vergate da Sallusti emergono pure dati di fatto incontestabili che dimostrano quanto segue: non tutti i magistrati si sono assoggettati ai criteri opachi adottati da tante toghe. Qualcuno, per esempio il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, è sfuggito alla trappola e ha agito onestamente in proprio. Ma non basta lui per assolvere gli altri.