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Russia e Cina, così grazie al vaccino conquistano il mondo: l'inconfessabile piano di Putin e Xi

Alessandro Giorgiutti
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E pensare che per molto tempo in Europa si è guardato con un misto di sufficienza e ironia allo Sputnik V, il vaccino anti-Covid prodotto dall'istituto Gamaleya, primo al mondo ad essere registrato (l'11 agosto scorso). Ben diverso era ieri lo stato d'animo dei leader europei, quando il Fondo russo per gli investimenti diretti ha annunciato che Mosca è disponibile a «fornire alla Ue 100 milioni di dosi di Sputnik V per 50 milioni di persone nel secondo trimestre del 2021, previa approvazione Ema», l'agenzia europea per i medicinali, che sta in effetti dialogando da tempo con i ricercatori russi che hanno sviluppato il vaccino. È noto che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha offerto a Mosca il supporto della Germania alla produzione e alla distribuzione dello Sputnik in Europa.

 

 

Se siamo arrivati a questo punto lo si deve ai ritardi nelle forniture a Bruxelles da parte delle multinazionali americane Pfizer e Biontech ma soprattutto della britannica AstraZeneca, il cavallo sul quale maggiormente l'Europa aveva puntato, almeno tra le case farmaceutiche arrivate in fondo alla sperimentazione. Del resto il vaccino russo ha già fatto il proprio ingresso nella Ue dopo che l'Ungheria ne ha approvato la distribuzione all'interno dei propri confini. Per la Russia la ricerca di nuovi mercati per il suo Sputnik, non a caso ribattezzato col nome del primo satellite artificiale mandato in orbita attorno alla Terra ai tempi della guerra fredda, è una questione non solo economica ma anche di prestigio e di influenza politica. Fin qui i russi si erano concentrati sugli Stati emergenti del Sudamerica, dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia lasciati a secco di vaccini occidentali dalla "ingordigia" dei Paesi più ricchi, che hanno opzionato circa l'80% delle dosi che saranno prodotte quest' anno, prenotandone più di quelle di cui hanno bisogno (l'Ue ha ordinato più di 2 miliardi di dosi).

 

 

 

 

 

Una finestra che Vladimir Putin e Xi JinPing (la Cina ha prodotto tre vaccini, altri sono in sperimentazione) avevano colto al volo. E così in America Latina si sono affidati ai russi il Venezuela di Maduro, ma pure l'Argentina e un alleato storico degli Usa come il Cile. Messico e Brasile hanno puntato sia su Mosca sia su Pechino. Il Marocco è stato uno dei primi Paesi africani a opzionare il vaccino cinese mentre Algeri ha scelto quello russo. Egitto e Turchia riceveranno entrambi i vaccini, Israele ha scelto lo Sputnik, mentre Emirati Arabi Uniti e Bahrein si sono rivolti alla Cina. Non stupisce che l'India, secondo produttore mondiale di ingredienti per farmaci dopo la Cina e ormai da tempo in rapporti sempre più freddi con Pechino, produrrà (e distribuirà ai propri cittadini) lo Sputnik. Nemmeno stupisce il recente accordo tra Mosca e Teheran, mentre ai Paesi del sud est asiatico la Cina offrirà una serie di crediti agevolati per poter procurarsi i vaccini prodotti da Pechino. In questa partita è entrata anche l'Europa. Proprio ieri l'Ungheria, che come detto aveva a già autorizzato lo Sputnik, ha dato il via libera anche al vaccino della cinese Sinopharm.

Un gesto che fino a poco tempo fa a Bruxelles sarebbe stato letto come una sfida, ma ora il vento è cambiato tanto che ieri il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri diceva: «Bisognerebbe valutare se vaccini come lo Sputnik o quello cinese sono efficaci e sicuri. Avere più vaccini garantisce di soddisfare il fabbisogno europeo». Nel Vecchio Continente si continua comunque a perseguire anche la via della "sovranità vaccinale", con la produzione di vaccini europei. La tedesca Curevac ha raggiunto un accordo con la Bayer. La francese Sanofi nonostante i ritardi nella sperimentazione ha deciso di proseguire e conta di mettere il suo vaccino sul mercato entro fine anno. E in Italia lo Stato ha investito 81 milioni per il vaccino Reithera-Spallanzani che conta di avere il via libera dall'Ema in estate. 

 

 

 

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