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Pietro Senaldi sulle consultazioni: "Al Quirinale solo chiacchiere inutili. Ecco cosa non ci raccontano", un terribile sospetto

Pietro Senaldi
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Povero Mattarella. Ieri ha speso la giornata a ricevere ben otto delegazioni politiche, tutte a rappresentare in maniera divisa, divisiva e divergente, un unico schieramento, quello progressista. E poi dicono che la sinistra sarebbe morta... Dopo pranzo sono arrivati nobili in declino, come il Pd, neonati con i giorni migliori alle spalle, per esempio Italia Viva, forze vintage del tempo che fu, e ci riferiamo ai post-comunisti di Leu, che ormai stanno in Parlamento come le mucche nel corridoio di Bersani, ingombranti quanto inutili e fuori posto. Questi sarebbero i cosiddetti «big», i grandi, della giornata. Prima, sul Colle erano salite anche altre cinque formazioni, confusamente raggruppate. Aborti di partiti come +Europa della Bonino, movimenti personali ambiziosi ma mai sbocciati e dopo anni ancora paragonabili a liste di condominio, è il caso di Azione di Calenda, nonché altri figuranti vestiti da Gruppo Misto, che ricordano gli amici al bar cantati da Gino Paoli. C'erano anche quelli del Maie, movimento degli italiani all'estero, che per necessità si è allargato a chi, pur eletto entro i nostri confini, è rimasto senza patria politica. Ciascuno ha avuto il proprio spazio, sotto i riflettori e nelle segrete stanze del Quirinale, sprecando in pubblico parole attese quanto inutili e illustrando in privato al presidente principi semoventi e strategie biforcute. Nel succo, i gruppuscoli del mattino si sono confermati pronti a qualsiasi (ig)nobile compromesso e a turarsi narici a go-go pur di garantire la continuità a Conte, giustificando con il bene superiore del Paese eventuali giravolte e sopraelevate politiche. Il Pd ha confermato il proprio friabile sostegno pieno, ma forse no, al premier, che inizia a focalizzare come un competitor, Renzi ha preso tempo, non si è opposto a un mandato al legale foggiano che gli permetta di provare a tornare in sella ma ha già iniziato ad adoperarsi per fargli saltare il piano. I bersaniani sono rimasti fedeli al motto del finché c'è Conte c'è speranza, con e senza maiuscola. Pauperista, verboso e inconcludente, per loro Giuseppe è un totem.

 

 

 

Retorica e retromarce

Sulla giornata è poi piombato il comunicato di un gruppo di grillini che si sono candidati al ruolo di kamikaze per il premier uscente, giurando di farsi esplodere in Parlamento e far venire giù tutto se l'avvocato non sarà riconfermato. Gli esperti di cose pentastellate suppongono che sia il preludio di un intervento del comico guru del Movimento, Grillo, che se Conte non sarà salvato sarebbe disposto a disintegrare la propria creatura. A ieri notte avevamo M5S e Dem convinti di avere la partita in pugno e che, se Renzi insiste a terremotare la maggioranza, quasi tutti i suoi lo molleranno. Viceversa il fiorentino resta persuaso di riuscire a tenere insieme Italia Viva e avere in mano la testa del premier uscente e le sorti del governo. Anche se già domattina il presidente della Repubblica dovesse dare al leader di Volturara Appula un incarico a formare il nuovo governo, la partita resterebbe ancora lunga.

 

 

 

Non si può votare perché c'è il Covid, ma si può tranquillamente continuare a parlare del futuro, benché senza esecutivo e ancor più senza prospettive, intanto che i morti da virus aumentano e i vaccini scarseggiano. Argomento preferito della discussione è chi si attovaglia al tavolo della nuova o vecchia maggioranza; per fare cosa, è questione marginale, sfiorata appena da Renzi, che pure l'ha posta senza però mai definirla compiutamente, tant' è che ieri ha fatto anche una mezza retromarcia sul ricorso ai soldi del Mes, fino a pochi istanti prima condizione irrinunciabile al suo rientro. Il pallino ora è nelle mani di Conte. Avrà l'occasione di un ultimo, disperato tentativo per rappattumare centristi, europeisti, popolari, socialisti, renziani, promettendo incarichi senza compiti e onori con pochi oneri. Non sarebbe male se, mentre si industria per succedere a se stesso, il foggiano sprecasse qualche parola sensata e priva di retorica sul motivo per cui vuole andare avanti a tutti i costi e su cosa intenderebbe fare. Non scommettiamo un euro che lo farà. Nessuno può prevedere con certezza come finirà la crisi di governo, ma una cosa è certa: l'Italia, in un modo o nell'altro, guarirà dall'epidemia molto prima che dallo stallo istituzionale che la paralizza da decenni. E lo farà naturalmente da sola, malgrado chi l'ha guidata e chi la guiderà.

 

 

 

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