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Giuseppe Conte, i sondaggisti stroncano "il partito del premier": "Farebbe solo vincere il centrodestra"

Tommaso Montesano
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A sentire le voci provenienti da Palazzo Chigi, Giuseppe Conte ci starebbe facendo la bocca. Al suo partito naturalmente. Pronto, addirittura, a giocarsi il tutto per tutto in campagna elettorale forte del suo «personale consenso». Nelle ultime settimane si sono sprecati i sondaggi sulle intenzioni di voto di cui godrebbe la creatura del premier. Alcuni, come quello elaborato da Swg per La7 pochi giorni fa, assegnano all'ipotetica formazione del presidente del consiglio tra il 15 e il 17% dei consensi. Eppure anche nella previsione più ottimistica, c'è un aspetto a fare da filo conduttore: la "lista Conte" sarebbe scelta soprattutto da elettori che già votano per i partiti della maggioranza giallorossa: Pd e M5S.

«Il punto è proprio questo: i flussi elettorali. Quale sarebbe la composizione del movimento di Conte? Sarebbe un valore aggiunto per il centrosinistra?», si chiede Antonio Noto, direttore generale di Noto sondaggi. Lui ha già presentato, in una puntata di Porta a Porta, il potenziale della possibile, nuova forza politica: «Oggi vale il 12%». L'avverbio di tempo non è casuale. «Il partito di Conte può essere forte adesso, mentre il premier sta giocando all'uno contro tutti. Ma cosa accadrà se e quando non sarà più a Palazzo Chigi? Adesso è al centro della scena, ma dopo il quadro potrebbe cambiare». Poi c'è il pericolo che i numeri siano gonfiati. Spiega Noto: «I partiti che non ci sono, quelli senza progetto politico, corrono il rischio di essere sovrastimati».

Succede che scatti un meccanismo molto semplice: «In un partito in embrione, che ancora non c'è, gli elettori proiettano i loro desideri. Ma quando questi partiti entrano effettivamente nel mercato politico, giocoforza cambiano le carte in tavola. E quelli che in precedenza erano voti emotivi, diventando voti ragionati sulla base delle mosse del partito, possono cambiare». Alessandra Ghisleri concorda. Intervenuta ai microfoni di Forrest, su Radio Uno, venerdì scorso, il direttore generale di Euromedia research ha ricordato che a ottobre, quindi prima del braccio di ferro con Italia Viva, il possibile partito del premier «rilevava il 4%. Adesso, con la crisi, è intorno al 10%». Questo significa, osserva Ghisleri, che il numero attuale «è drogato dalla comunicazione, dall'attualità».

In caso di campagna elettorale, avverte, i partiti maggiori della coalizione - Pd e M5S - con l'appello al voto utile «radunerebbero intorno a loro anche chi, in questo momento, guarda con attenzione al partito di Conte». Per Fabrizio Masia, direttore generale di Emg Different, la lista del premier veleggia tra il 9 e il 10%. «Si tratta di un risultato in linea con il livello di fiducia di cui gode il presidente del Consiglio. Stiamo parlando di un partito che ancora non esiste, senza simbolo, nome e programma. È un valore puramente virtuale». E qui, per il capo del governo, finiscono le buone notizie, visto che le incognite sono molte. La prima il rischio "cannibalizzazione" degli alleati: «A fare le spese della discesa in campo del presidente del Consiglio sarebbe il M5S, che perderebbe circa cinque punti. Tre, invece, li perderebbe il Pd. E un paio di punticini arriverebbero pure dal centrodestra, ad esclusione di Fratelli d'Italia». Insomma, le potenzialità per fare bene a livello elettorale, per Conte, ci sarebbero pure, ma «soprattutto a scapito della sinistra. L'interrogativo è: una lista del premier allarga o no il campo del centrosinistra? Molto dipenderà dalla legge elettorale».

 

 

Il primo aspetto, tuttavia, resta quello dei flussi. «L'ipotetico partito di Conte non prenderebbe quasi nulla dal centrodestra, ad eccezione di un 1% a Forza Italia. Il grosso della sua dote, circa 8 punti, arriverebbe dall'area di governo: 5-6 punti dal Pd e 2 dal Movimento 5 Stelle», sostiene Noto. Il resto «da elettori che non hanno votato alle ultime elezioni e che non voterebbero alle prossime se la formazione di Conte non ci fosse. Stiamo parlando di circa un 5%». Un buon risultato - al netto delle considerazioni sulla volatilità dei consensi per un partito che ancora non c'è - che però non sarebbe sufficiente a colmare il divario con il centrodestra, «che al momento è circa 10 punti avanti. La lista di Conte aiuterebbe a ridurre la distanza, ma non a superare gli avversari». La crescita a scapito degli alleati ricorre - più o meno con le stesse proporzioni - anche nell'analisi di Swg, secondo cui a fronte di un 5,3% proveniente da astenuti e indecisi, ci sono il 5% sottratto a M5S e il 4% in arrivo dal Pd. Solo lo 0,7% sarebbe tolto al centrodestra, mentre l'1% arriverebbe al premier da altre formazioni. 

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