"Quanto guadagnano gli onorevoli se non si va votare". Ecco perché un governo lo troveranno
Senso delle istituzioni. E senso del portafoglio. In che percentuale è difficile dirlo. Dipende dai singoli. Però è chiaro che, nelle valutazioni dei "costruttori", c'è anche quello: l'esigenza personale di edificare un radioso futuro. Per se stessi. Perché, se cade Giuseppe Conte e non si trovano alternative al governo dell'avvocato, l'unica strada restano le urne anticipate. Il Quirinale l'ha già detto bello chiaro. E l'interruzione anzitempo della legislatura porta con sé un corollario di disagio. Domanda: quanti parlamentari in carica hanno la speranza di essere rieletti? Pochi, non c'è da farsi grandi illusioni. Anche perché entrerà in vigore la riforma che riduce drasticamente il numero dei seggi disponibili, quella voluta dal Movimento 5 Stelle. Ed è paradossale, ma saranno proprio i grillini le vittime designate della novità. Nel 2018 hanno sbancato, prendendo il 34 per cento dei voti. Gli ultimi sondaggi li danno attorno al 15. Insomma, si sono scavati la fossa con le loro mani. Mettiamoci pure il fatto che molti di loro non hanno arte né parte. E si arriva così alla seconda domanda: ma davvero c'è qualcuno che vuole andare a votare, nelle retrovie, tra i peones?
Conti in tasca
Risposta scontata. Ed è per questo che, al netto delle difficoltà delle ultime ore, un'altra maggioranza si troverà. Magari non con Conte premier. Ma il tasso di disponibilità a valutare altri progetti, in Parlamento, c'è eccome. Basta fare due conti in tasca ai nostri onorevoli. In media, tra Camera e Senato, guadagnano 14mila euro al mese. Alla scadenza naturale della legislatura mancano venticinque giri di calendario. Il che significa un tesoretto pro capite di circa 350mila euro. Mica male. Allora, con un occhio al conto in banca, diventano tutti più malleabili, anche gli irreprensibili della serie «mai con questo, mai con quell'altro». Per cui le voci di chi dice, o Conte o voto, suonano come minacce un po' velleitarie. Tipo quella di Goffredo Bettini. Che le sta tentando tutte per allargare la base parlamentare intorno al governo attuale. Ma se salta il tappo, cioè se si depone Conte, tutto diventa più fluido, anche le trattative per portare in maggioranza i testoni più riottosi. «La fiducia» del Parlamento «l'abbiamo, quindi si deve andare avanti subito con il lavoro per rispondere alle esigenze principali del Paese. Poi se in queste settimane, ma si tratta di settimane non di molto tempo, riusciamo a consolidare e allargare i numeri e avere maggiore agio nella vita parlamentare, soprattutto nelle Commissioni, bene, allora andremo avanti e si farà un Conte ter: Giuseppe andrà da Matterella e si farà tutto il necessario. Io spero che sarà così, ma non è detto, vedremo se si riuscirà ad andare avanti», altrimenti «il voto è lo sbocco naturale quando sono finite tutte le opzioni», spiega Bettini. Sarà. Intanto da Montecitorio Bruno Tabacci lavora alla cosa centrista. Ha in testa di formare gruppi sia alla Camera che al Senato. Corteggia gli ex grillini che si sono sparpagliati un po' qui un po' lì. Ma non solo loro. L'obiettivo sono anche quelli di Forza Italia e i renziani.
Caccia grossa
Il Maie sta lavorando ai fianchi gli azzurri puntando al bacino di delusi berlusconiani. «C'è gente che non vuole consegnarsi a Salvini», dice Tabacci. E Italia Viva? «Qualche problema Renzi ce l'ha nel gruppo», sostiene il fondatore di Centro Democratico. L'altra opzione è quella di convincere Conte a dimettersi con la promessa di un reincarico. A quel punto, con un governo da nominare ex novo, si aprirebbero molte più opportunità, tanto da ingolosire anche chi oggi nicchia. L'ultima ipotesi è quella immaginata da Pier Ferdinando Casini, vecchio marpione di Palazzo: I costruttori? «Può essere che ci siano, ma cosa cambia se il governo ha 160 voti invece di 158? Non vedo lo spazio per grandissimi allargamenti e mi sembra difficile che Fi possa sostenere questo esecutivo. Quel che serve al paese è un governo di unità nazionale. Se non lo si fa ora quando?».