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Nicola Morra, la solita vergogna: Lorenzo Cesa? Plaude le manette e scrive già la sentenza

Iuri Maria Prado
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Avete presente Nicola Morra? È uno dei tanti regali spediti al potere dalle piazze del vaffanculo: e non l'hanno messo in una riserva di peones, ma a presiedere la Commissione parlamentare antimafia. Le sue occasioni di ribalta sono miracolosamente concomitanti con le stupidaggini cui si lascia andare: ne dice una e finisce sui giornali, poi si inabissa nella malinconia dell'inesistente e non ne riemerge fino a che gliene sgorga un'altra, possibilmente più disperante dell'anteriore. Una formidabile l'ha dedicata al cadavere di Jole Santelli, la presidente della Regione Calabria morta qualche mese fa: perlustrandone le metastasi, il Morra ha spiegato che quella sua concorrente politica l'aveva fatta sporca perché ha sottaciuto di essere ammalata, con il corollario che la democrazia in Calabria avrebbe preso un corso diverso se la gente avesse saputo che il voto andava a una con poco da vivere.

Un'eleganza inarrivabile. E ieri questo bel tipo - che non è un magazziniere della Casaleggio Associati, ma è appunto il capo di un eminente comparto parlamentare - se ne esce a commento dell'ennesimo rastrellamento giudiziario ordinato dalla procura di Catanzaro, una iniziativa che ha portato ai soliti arresti dei soliti politici accusati di aver commesso i soliti reati di associazione a delinquere con la solita aggravante del solito metodo mafioso. Solite manette, soliti sequestri, solite perquisizioni, un'altra volta a carico di politici che finalmente la smettono di farla franca: vedi Lorenzo Cesa, uno dei coinvolti, già eminente nelle passate Repubbliche e attualmente (anzi fino a ieri, perché si è dimesso) segretario dell'Udc.

 

 

Ora, un responsabile di cariche pubbliche, tanto più se di vertice - come nel caso di Morra - dovrebbe stare rigorosamente zitto e assistere dalla dovuta distanza istituzionale agli sviluppi di un'azione giudiziaria che deve ancora accertare tutto e che deve considerare, possibilmente, anche quel che ha da dire la difesa. E invece no: il Morra - un po' come la Gruber, che infatti lo invita spesso e che quando si occupa di processi fa gli auguri di buon lavoro ai pubblici ministeri, mica ai giudici o (figurarsi) ai difensori - il Morra, dicevo, a proposito di quest' ultima rassegna di schiavettoni dice così: «Questi arresti dimostrano che lo Stato non solo è presente ma è anche più forte e tenace», e si esibisce in «un plauso sincero a questo immane sforzo investigativo».

Non so se è chiaro (a Morra evidentemente non è chiaro): qui non siamo neppure al caso, già inammissibile, del rappresentante istituzionale che la fa fuori dal vaso perché interferisce in una vicenda giudiziaria quando il processo è ancora in corso; qui siamo al caso, anche più grave, di quello che si abbandona a quegli spropositi quando il processo nemmeno c'è ancora. Compiacersi di un arresto - specie in un sistema come il nostro, nel quale molto spesso si arresta illegittimamente - denuncia una così greve sensibilità istituzionale, una così arretrata e buia concezione della giustizia, insomma un'incultura così profonda, che non è ammissibile lasciar correre solo perché a rendersene responsabile è uno che troppe volte ha dato tanta prova di sé. Un Parlamento decente non tollererebbe un minuto di più la presenza di questo personaggio. Che invece continuerà a stare lì, a disdoro dei colleghi che colpevolmente non ne reclamano le dimissioni. 

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